Premessa: se ritenete che "White Devil Armory" sia superiore ad "Ironbound", se ritenete che sia addirittura il miglior album targato Overkill dal lontano "Necroshine" (1999), allora non leggete questa recensione. Sia chiara una cosa: questo è un lavoro onestissimo e tutt'altro che negativo, solamente il sottoscritto non si allinea al giubilo forse eccessivo con cui è stata accolta l'ultima fatica degli Overkill.
L'ultimo vagito di Bobby "Blitz" Ellsworth e dei suoi amichetti, "The Electric Age", aveva di certo sottolineato l'importanza degli Overkill come una delle poche realtà del thrash metal a rimanere ancora fedele a determinate coordinate. Attitudine grezza, "terremoto sonoro" più o meno invariato e soprattutto nessuna voglia di abbandonarsi al music business snaturando le proprie architetture sonore. Un disco che non riscriveva il metal ma che risultò "fresco" e genuino, soprattutto per un genere ormai avvitato su stesso. Il nuovo WDA (18 luglio 2014) è identico nell'approcciarsi all'ascoltatore, ma allo stesso tempo perpetra delle scelte che alla lunga ne inficiano il valore complessivo.
Il diciassettesimo lavoro in studio è ancora una volta un capitolo di assoluta compattezza e capacità di preservare il proprio stile. Un parto veloce e graffiante, capace di far impallidire la stragrande maggioranza di tutte le pseudo band odierne che si ergono a copia dei Metallica. La voce di Ellsworth è il solito straordinario concentrato di potenza, rimasta immacolata anche con il passare dei decenni. Verni continua a martellare il suo basso, confermandosi come uno dei bassisti più importanti e allo stesso tempo sottovalutati e sconosciuti del genere. Convincono meno le due chitarre di Derek Tailer e Dave Linsk ma non nell'esecuzione e nelle parti solistiche (tra l'altro tutte di Linsk). Ciò che non convince è la registrazione di esse: al contrario di tante altre realtà, la Nuclear Blast ha fatto un buon lavoro con gli Overkill, esaltandone la potenza senza per questo rendere "finta" la massa sonora. Detto questo emerge chiaramente il suono fin troppo abrasivo delle sei corde, elemento che peraltro emergeva già in "The Electric Age".
La sicurezza degli Overkill è comunque lampante. Una band che non ha nessun tipo di problema a continuare su strade già tracciate in passato. Niente spazio per sperimentalismi, solo 10 pezzi di old speed/thrash. La qualità media del lavoro è buona, me anche qui non vengono toccate le vette compositive del già citato "Ironbound", che è il termine di paragone degli ultimi Overkill. Diverse sono le tracce da menzionare: dal mood terremotante della mazzata "Pig", al singolo-proiettile "Armorsit", per finire con canzoni più legate all'atmosfera epic del passato come "Another Day To Die" e la conclusiva "In The Name", a parere di chi scrive il miglior episodio del disco.
Emerge la solita grande precisione esecutiva a cui si accompagna un'uniformità di ritmo e scelte stilistiche che a lungo andare incidono negativamente. Si fa fatica a trovare le variazioni giuste, come se gli Overkill abbiano dato luce ad un album che è specchio di se stesso e incapace di esplorare lidi esterni. Insomma, pezzi tutti troppo simili tra loro e poca varietà. Songwriting non tra i più ispirati del combo a stelle e striscie.
Eppure, nel grigiore assoluto in cui è piombato uno dei sottogeneri più seguiti del metal, una band come gli Overkill è ancora fondamentale. Motivo per cui si può anche perdonare un leggerissimo calo di tono.
1. "XDm" (0:49)
2. "Armorist" (3:53)
3. "Down To The Bone" (4:05)
4. "Pig" (5:22)
5. "Bitter Pill" (5:47)
6. "Where There's Smoke..." (4:20)
7. "Freedom Rings" (6:52)
8. "Another Day To Die" (4:56)
9. "King Of The Rat Bastards" (4:09)
10. "It's All Yours" (4:25)
11. "In The Name" (6:03)
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