Gli Uriah Heep, fin dalla loro nascita, vissero sotto l'ombra di monumenti come Black Sabbath, Deep Purple, e Led Zeppelin. Una complicata esistenza musicale che può essere paragonata a quella degli Overkill, affossati dallo strapotere di altre realtà come Metallica, Megadeth, Slayer e in parte anche Anthrax. Eppure la band di Ellsworth ha dimostrato negli anni la propria importanza per il genere thrash metal, riuscendo anche a portarsi dietro una schiera di fedelissimi.
"Under the influence" è la terza delle quindici creature degli Overkill, venuta fuori nel 1988, anno di "...And justice for all" e "So far, so good...so what", quindi largamente "ostacolato" da questi altri due capitoli di band sicuramente più in voga nel paese a stelle e striscie. Importanza fondamentale nella nascita, la crescita e poi il consolidamento degli Overkill è la figura di Bobby Ellsworth, coaudiuvato dal fedele D.D. Verni al basso.
Vero elemento caratterizzante della musica degli Overkill è la voce di Ellsworth, talmente "bambinesca" e incazzata da risultare unica nell'intero orizzonte del metal. Essa, unita alla sezione strumentale va a generare un disco fondamentalmente di thrash metal, sebbene ci siano alcuni spunti interessanti e maggiormente complessi che verranno approfonditi poi nei successivi lavori (specie in "The years of decay"). Allo stesso tempo abbiamo anche una moltitudine di riff (partoriti dal chitarrista Sid Falck) che elaborano un sound comunque ancora acerbo e in parte anche derivativo, influenzato dai grandi maestri del thrash che già da alcuni anni imperversavano sul mercato.
Se musicalmente gli Overkill dimostrano in "Under the influence" di non essere ancora pienamente "autonomi", hanno dalla loro la grande voglia di mettersi in gioco. L'opener "Shred" ce li mostra incazzati al punto giusto con una sezione ritmica ben sostenuta e un ritmo fulminante. Grande lavoro di basso e superba costruzione per "Never say never" dove i riff di Falck e la voce stridula di Ellsworth si innalzano per rincorrersi durante tutta la durata del brano. Sulla stessa falsariga anche "Hello from the gutter" e "Mad gone world", ancorata al thrash di matrice statunitense, con Ellsworth che continua ad emergere grazie ad un timbro che si adatta a meraviglia con le ritmiche e il sound della band.
La seconda parte del cd ci mostra i lati più complessi del gruppo, che si cimentano in soluzioni in parte distanti da quelle che ci presentano nei primi pezzi. "Drunken wisdom", "End of the line", "Head first" e "Overkill III" sono infatti brani in cui si attenua (soltanto in minima parte) la carica devastante con cui si era aperto Under the influence: l'atmosfera generale diventa più oscura e "meditata", caratteristica che ritroveremo anche in "The years of decay". Proprio questa seconda parte del cd fa calare il valore complessivo del platter a causa soprattutto di quella mancanza di potenza che invece massacra i timpani per tutti i 25 minuti iniziali. Il livello compositivo rimane buono, ma la precocità di alcune soluzioni inficia il giudizio finale sull'intero lavoro.
Un album che rimane comunque positivo, sebbene gli Overkill avessero già dimostrato in passato di saper fare di meglio, cosa che accadrà anche in futuro. Voto 3 e mezzo.
1. "Shred" (4:05)
2. "Never Say Never" (5:58)
3. "Hello From The Gutter" (4:12)
4. "Mad Gone World" (4:31)
5. "Brainfade" (4:08)
6. "Drunken Wisdom" (6:18)
7. "End Of The Line" (7:03)
8. "Head First" (6:02)
9. "Overkill III" (6:28)
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