Perché anche noi i Blasters ce li siamo vissuti dietro casa, senza sentire il bisogno di sognare né la California né Los Angeles.
Noi siamo quelli che, fine '80, gravitiamo a Roma e dintorni e già abbiamo deciso da che parte della barricata stare.
Ci sono questi due fratelli, Marco e Massimo, che come Phil e Dave smaniano per il rockabilly più intransigente, quello di figuri che, se Elvis è il delinquente del rock'n'roll, loro sono Hannibal the Cannibal o poco ci manca.
Marco e Massimo decidono di mettere su una banda e reclutano Elena.
Elena è uno schianto e già si è fatta le ossa, ha suonato il basso nei Kim Squad & Dinah Shore Zeekapers; e se nella Roma che suona di quei tempi dici Kim Squad, è come se reciti l'atto di fede, nel senso che i Kim Squad la scena romana l'hanno costruita loro.
Allora Marco canta e suona la chitarra, Elena sta al basso e Massimo alla batteria.
Sono gli Overlord, quelli che ci siamo vissuti come fossero i Blasters dietro casa.
Stessa identica passione rockabilly, temprata dall'urgenza di suonare duro e veloce.
Veloce rodaggio dentro e fuori scantinati riadattati a locali, dove ti ritrovi e ascolti la musica di gente che altrimenti non avrebbe nemmeno il presente, e nessuno che si azzarda a chiedere un lento.
Poi, subito, l'album «Ssssh! The Children Sleep», zitti che si svegliano i bambini, come intima nonna Agnese affacciata alla porta, l'indice alle labbra.
Macché.
Marco, Elena e Massimo non se ne danno per intesi.
«Lascia che i bambini vengano a me, nonna Agnese» attacca a predicare Marco, invaso dal suo omonimo ed illustre predecessore evangelista (10, 13-16).
«Lascia ballare i bambini, nonna Agnese» fanno eco quegli altri due, posseduti da Bo Diddley.
«No, guardate, Bo dice i ragazzi, mica i bambini» ribatte nonna Agnese che la sa lunga e tiene riposti tutti i singoletti della Chess e della Sun nella mattra.
«Chi ha tempo non aspetti tempo».
E con questa, quei tre troncano la discussione e nonna Agnese mica sa cosa replicare.
Anche perché Marco e Elena intanto hanno già attaccato gli strumenti agli ampli e Massimo ha preso posto dietro ai tamburi.
One-two-three-four e partono a suonare.
Nove canzoni, otto originali più il rifacimento supersonico di quella melensa mosceria di «Love Me Do» e a questo punto ti immagini il Macca col ciuffo impomatato e ribelle peggio di Marlon Brando stile selvaggio, altro che il caschetto e la giacchettina e la cravattina con cui si è comprato una nobiltà da pataccaro.
Primi otto pezzi tiratissimi, una colata di punk-a-billy e punk'n'roll che dicono di una manica di pazzi che suonano molto più furioso e pesante dei Blasters.
Per ultimo tirano fuori una ballatona da mandare a memoria, da piccoli Springsteen di periferia – direi Del Fuegos, o meglio certe cose dei Del Fuegos, ma poi dovrei stare a perdere tempo a dire dei fratelli Zanes, e per inciso altra storia di fratelli anche questa – che anticipa la sterzata verso il blues da lì a qualche mese.
Testi di filosofia spicciola che a paragone quelli dei Ramones sono oggetto di culto all'accademia della crusca; tipo, ho due cervelli e ci sto male, ne butto uno e con quello che mi resta vado a farmi una sana bevuta; dolcezza, ti amo, tesorino, abbiamo un appuntamento e non voglio fare tardi; sono un disastro totale, mi piacerebbe non avere problemi ma non è possibile; e così via.
E se il disco fa sudare, dal vivo l'atmosfera diventa torrida.
E perciò chiudo in fretta questa paginetta riesumando qualche ricordo da sotto il palco.
Tipo che nell'estate 1990 vengono a suonare a Bracciano in una manifestazione come gruppo di punta, attaccano verso le 23.40 e poco dopo mezzanotte gli organizzatori staccano tutto perché sono arrivati i vigili che è tardi e qualcuno si lamenta per il frastuono; loro si incazzano e pretendono di suonare un ultimo pezzo, due minuti e via; concesso; sparano una tarantolatissima «Alternative Ulster» che spazza via pure l'edera secolare sui muraglioni del castello; quelli staccano di nuovo tutto; loro si prendono un'ucita alla Who, fracassando gli strumenti sul palco e facendo rotolare giù la batteria.
E chi l'aveva mai vista una roba del genere, io no di certo.
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Questo è (quasi) tutto quello che si trova degli Overlord sull'internet, almeno per farsi un'idea, a chi gli interessa farsela, non si trova nemmeno la copertina dell'album e la foto ho dovuto fargliela io, e vada alla viva il parroco, palla lunga e pedalare:
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