Forse vi capita ogni tanto di sentire il bisogno di una pausa, tra un disco dei Sigur Ros, un altro dei Sonic Youth e il primo Amnesiac che vedete per strada. Magari sentite il bisogno di ascoltare qualcosa di semplice e non troppo impegnativo, eppure pur sempre di una certa qualità. Vi capita? Beh, a me sì, e sostengo che il disco di cui scrivo sia la perfetta esemplificazione di quello che sto raccontando.

"Ocean Eyes" è uscito nel cuore dell'estate 2010 e si è abbattuto come un piacevole ciclone sulle mie orecchie. È la seconda prova discografica degli (o di) Owl City, one man band che all'anagrafe risponde al nome di Adam Young, speranzoso musicista americano di venticinque anni. Si tratta di circa quaranta minuti di synth-pop fatto di tastiere bollicinose, suoni sintetici e batterie programmate, melodie zuccherine facili da ricordare e da cantare. Melodie che, seppure all'acqua di rose, rimangono nelle orecchie molto a lungo, dando un inaspettato senso di sollievo.
Impossibile resistere ai tastierini e agli orpelli sonori di Cave In così come non si resiste alla strofa cantata in un inglese accademico e di facilissima comprensione. Gli zuccherini e le paillette si ripropongono un po' dovunque producendo dodici tracce tutte un po' simili ma di un'allegria irresistibile. Idem per la chitarra minima, le vocine elettroniche quasi dance e il ritornello (with friends like these/ who needs enemies) facile facile di The Bird And The Worm. Ottima anche la danzereccia e vivace Umbrella Beach, mentre le più tranquille Fireflies ed Hello Seattle crescono su strutture  più semplici e una superproduzione meno invadente, se così si può dire: sempre tastierini onnipresenti e la voce solitaria quasi distorta. Fireflies si è rivelata un ottimo singolo che è rimasto per varie settimane nella classifica di Billboard (malgrado una promozione assai ridotta è arrivata all'1 pure qui in italia), mentre Hello Seattle è stata sorprendentemente ignorata. Ancora, un altro brano che conquista per semplicità è Saltwater Room: una chitarra, una tastiera e la voce di Adam si intreccia a quella suadente di Breanne Duren.

Un po' meno convincente, se non altro per il testo, Dental Care, che apprezzerete davvero solo se, come il protagonista della canzone, avete una pluriennale esperienza di dentisti. Ancora, canzoni come Meteor Shower, On The Wing, o Vanilla Twilight tornano a produzioni meticolose, a strati elettronici plurimi e a vocine sintetiche sovrapposte varie; dall'altro lato The Trip Of The Iceberg o Tidal Wave ci offrono gli ennesimi ritornelli catchy e spensierati.
Tutto fila via liscio e spontaneo, senza sbavature, senza i momenti di noia o nausea che spesso colpiscono con dischi di tal tipo. In questo caso invece abbiamo davanti un album facile e godibile che, lo ripeto, contro ogni aspettativa non esaurisce la sua carica nel giro di un mese; un album che ad oggi 2012, non ha minimamente perso la sua freschezza, e non certo perché siamo a gennaio. Anzi, quest'estate portatevelo al mare come alternativa al ciarpame sudamericano. Perché questo è un disco ottimo per l'estate. E per tutti quelli che non si sono mai rassegnati alla scomparsa dei Postal Service.
7,5

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