Soddisfo subito la vostra curiosità: Noel Gallagher decapitato che piange sangue come una madonnina è il contributo di Mike Kinsella alla copertina e simboleggia una batosta a suo fratello maggiore Tim; perché? Abbiamo a che fare con dei personaggi ironici e brillanti che amano prendersi sul serio, quindi boh. È merito di Tim Kinsella invece, in alto a destra (ma potrebbe pure essere quello in basso a destra, chiedo lumi) il collage postmoderno dedicato a Vanessa Williams, prima miss america nera - alla quale è stato poi revocato il titolo causa foto lesbiche - e Traci Lords, attrice porno minorenne nei primi anni ottanta, ora ritirata: un omaggio a due icone dello scandalismo sessuale statunitense che invece di salvaguardare l'adolescente Tim, gli regalava momenti evidentemente indimenticati.

La copertina è splittata in quattro, e quattro sono i membri del gruppo che ci hanno lavorato in totale indipendenza perché - secondo T. Kinsella - tutti molto eccentrici e artistici ciascuno per i cazzi suoi: i fratelli, Sam Zurick che qui suona il basso in un plettrato cervellotico che non si è mai sentito - né in un disco emo, né in un disco math, né in un disco post-hardcore, né nel post-rock, né in un disco dei Touché Amoré, né in un disco dei La Dispute - e Victor Villareal, al cui virtuoso, stravagante fingerstyle distorto siamo abituati da certa roba dei Joan Of Arc, dai Ghosts and Vodka e dal gioiellino Make Believe. Aggiungi Van Bohlen, che però non c'è, e hai fatto i Cap'n Jazz: i Cap'n Jazz non c'entrano quasi nulla con questo disco, ma il ritornello di Ancient Stars Seed... (puntini non miei, ma purtroppo e misteriosamente dei titoli di tutte le tracce del disco) è la cosa più simile ai Cap'n Jazz dai tempi dei Cap'n Jazz.

Copertina splittata in quattro, indipendenza ed eccentricità: qualcuno potrebbe opinare che non sia lo spirito migliore per lavorare in gruppo. Invece sì.

Invece sì perché Two è un parto sofferto tredici anni, un'impresa, dopo il già molto bell'esordio, ma la coesione in perfetta euritmia delle travagliatissime quattro parti in causa qui funziona come raramente, e raramente un'opera riesce così spigolosa, cupa, ostica, eppure orecchiabile, pop (quasi), e un songwriting così emotivo eppure così cinico: Why Oh Why... dice ad esempio it's curious how you assume your experience of the world is the world; la nenia Four Works of Art... in apertura sembra una delle cose più emeggianti dei Motorpsycho però suonata da un gruppo emo che fa il verso a un gruppo stoner, con un basso inspiegabile; Oh No, Don't... è quello che mi aspetterei da un nuovo album degli Slint con innesti di groove e il cantato demente del tizio dei Joan Of Arc, che in I'm Surprised... dimostra per fortuna di non aver ancora capito, a quarant'anni e con la pancia, la differenza tra una melodia orecchiabile e la cantilena spezzata di un preadolescente che sta iniziando a cambiare la voce e canta ancora filastrocche per bambini - ammesso che la differenza sussista, dato che poi certo emo è infantilismo, power chords e cantilene, chiedete pure a Mac McCaughan; The Lion..., e non solo The Lion..., ricorda una di quelle ieratiche e storte ballate dei Polvo - tipo Fast Canoe - e ha un testo che potrei aver scritto io a sei anni, però non in inglese; in This Must Be How... è l'estro arpeggiante di Villareal a farla da padrone, come praticamente ovunque nel primo album, ma stavolta, più che nel predecessore, coadiuvato da una sezione ritmica che neanche i This Town Needs Guns - e chi sono i This Town Needs Guns se non umili discepoli dei Nostri? - a scongiurare quel senso di appiattimento che è croce e delizia di mezza discografia dei Joan Of Arc e di Owls 1.

Two è merce rarissima, un disco ostinatamente alternativo, radicale, che non si sforza di piacere ad alcuno: non ai nostalgici del midwest, non alla nuova ondata che lancia mutandine ai Touché Amoré e ai La Dispute, non ai fan dei Joan Of Arc (perché praticamente non esistono, altrimenti a loro un po' sì); non a chi smania per una seconda venuta degli American Football, che intanto giustamente si autocelebrano, merchandizzano e monetizzano i fasti degli anni novanta; neanche ai post-rocker e ai mathematici, perché quella è gente che cerca suono e invece questo è un disco scheletrico, diretto, pochissimo condito. Eppure, a questi e a tutti gli altri, Two indica una nuova via.

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