Dopo King of the Jews (1992), già degno rappresentante dell'oxbow-suono, e il noiserockettaro Let Me Be a Woman (1995), arriviamo al 1997 e al quarto album per il simpatico (e immutato nella line-up) quartetto di San Francisco: "Serenade in Red", copertina noir, 57:57, esce per la prestigiosa SST Records (Minutemen, Husker Du, Black Flag, Sonic Youth, Dinosaur Jr. eccetera eccetera) ed è prodotto (come già Let Me Be a Woman) dal guru Albini.

Se "King of the Jews" era un'inquietante ed informe discesa in un buio accecante, e "Let Me Be a Woman" (non vi preoccupate, lo recensirò a breve, tesori) era un vortice di acidità noise e rockeggiamenti di alto livello, "Serenade in Red" è finalmente il primo disco degli Oxbow a presentare in modo esaustivo e completo tutte le minute, curiose e quasi caleidoscopiche (ancorché coese e compatte) sfaccettature che compongono l'Oxbow-suono.

L'album parte alla grande con "Over", sorta di intro, già cupa ed inquieta, ma a suo modo oltremodo affascinante e sensuale. Il disco continua con l'accelleratore, e "Lucky" è forse il pezzo più noise-metallaro della discografia degli Oxbow. Tirato e dannato il pezzo continua, si dilata, rieccheggia di motivi musicali (indo)europei, stupisce. Ma lo stupore domina probabilmente in tutto il disco. I nostri sembrano delle sottospecie di prestigiatori con cappello, che riescono da un puro quartetto analogico-rock a tirare fuori conigli incendiari un po' noise, un po' doom, un po' non so cosa come "Over" o "La Luna", ma poi in mezzo ti possono buttare due piccoli 'affreschi' sonori come i due "Untitled (il primo solo basso e voce, il secondo dominato da pianoforte e strumenti a fiato), piccole gemme che già dimostrano come gli Oxbow si stiano divertendo, ad inserire sulla loro base di impostazione sonora rock, elementi, come appunto gli inserti di pianoforte, di fiati ed archi, che troveranno poi la loro espressione più compiuta nell'ultimo incredibile "The Narcotic Story".

Mentre si avvicina alla fine, il disco si mantiene sempre su livelli alti, privilegiando di più, come in una sequenza sbornia -> postumi della sbornia, atmosfere meno rabbiose, più incupite, quasi melodrammatiche (l'inizio di Babydoll) che trovano poi apice nelle conclusive The Killer e Insane Asylum, che vedono entrambe la collaborazione di una certa Jarboe (o forse Lydia Lunch? È piuttosto misteriosa la questione). "The Killer" esprime ai massimi livelli le inquietudini noir che già dalla (ormai lontana) copertina si presagivano. "Insane Asylum" è poi la ghost track del disco, e non poteva esserci ghost track migliore: un folle e magnifico blues dai sapori spagnoli, con Eugene Robinson che dimentica (è estasiante, davvero) ogni concezione di intonazione, mentre la chitarra lotta disperata con tutto il suo rumore contro la squisitezza formale del piano e dell'organo. In conclusione, tutto sembra ritorna rumore (anche se a ritmo blues). Un urlo del nostro gigante buono mette a tacere poi tutti. E il disco finisce.

Sembra piuttosto stupido da dire, ma questo, come praticamente tutto i dischi degli Oxbow (ma come avranno fatto?) è da avere, da ascoltare, da sviscerare e da farcisi sviscerare. Non sarà magari il disco adatto per rimorchiare (cantare come Robinson non vi farà apparire sensuali a molta gente), ma chissenefrega. Prima ascoltate gli Oxbow, poi andate a rimorchiare. Se ne avrete ancora voglia, eh.

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