Sarà per il fatto che è stato il disco che mi ha permesso di conoscerli. Sarà anche per il fatto che al momento dell'ascolto, il principio chimico di delta-9-tetraidrocannabinolo stava adempiendo efficacemente alla sua funzione come grandangolo extrasensoriale che mi rendeva particolarmente recettivo nei confronti di ciò che la realtà terrena offriva. Resta il fatto che "Waterfall Cities" mi è rimasto inchiodato al cervello in maniera permanente.
Prima di accingerci, caro lettore, a questa mia prima recensione con la quale mi "svergino" su Debaser, vorrei che ti soffermassi sulla copertina, visto che risulta parte integrante dell'album, aldilà della musica stessa, e che allo stesso tempo dona una mistica e rara preziosità al supporto, contestualizzandolo all'interno di un immaginario onirico che viene saturato dall'ascolto dei brani. "Waterfall Cities": curiosa l'immagine che viene a crearsi pensando a queste misteriose "città-cascata" circondate da una flora ed una fauna certamente partorite da un'immaginazione ispirata da espedienti di natura psicoattiva. Conformemente alla tradizione che caratterizza questi hippye-raver che sono gli Ozric, la grafica mantiene la linea artigianale che ha caratterizzato gli album precedenti (altro segno di distacco nei confronti dell'industria musicale)
Parliamo della musica. Per dare un quadro generale, è il quindicesimo anno di attività musicale per il gruppo inglese, che pur mantenendo l'impronta strumentale e tentacoleggiante che li ha contraddistinti fin dagli esordi e continua a farlo, assume rispetto ai lavori precedenti, caratteri più marcatamente progressive, in cui il connubio tra la cultura psichedelica e quella elettronica si amalgamano ulteriormente (anche se paragonando questo capitolo al precedente "Erpland", l'orientamento è a favore della seconda). Nonostante ciò, aldilà dei tessuti ambient e delle sfuriate techno operate dal synth di Christopher Lenox-Smith, il complesso vanta di una line-up strumentale con i controcoglioni, dalla quale spiccano la chitarra elettrica (e l'occasionale contributo al sintetizzatore) del virtuoso Wynne ed il carismatico Egan, che con il suo flauto irradia i Tentacles di un'aura sciamanica, la quale anzichè contrastare con l'apporto elettronico annichilendo la resa finale, crea un'ottima sinergia di stampo esoterico. Nulla da togliere al basso e alla batteria di Geelani e Prince, che sostengono la sezione ritmica con una precisione tanto impeccabile da poter essere scambiati per strumenti campionati, se non fosse per brani come la dubbeggiante "Sultana Detrii", in cui la presenza di musicisti fatti di carne, ossa ed anima reggae traspare con più facilità, rispetto a brani come "Spiralmind" o "Waterfall City" in cui vige un anarchismo sonico strutturato dall'irrompente e incalzante dinamismo delle basi Techno, sul quale Wyne da prova del suo delirio masturbando con furia marziale la chitarra con delay e distrorsioni spaziali. I pattern magnetici di "Xingu" imperversano ossessivi, destrutturando matematicamente le pareti sonore che delay e flauto contribuiscono ad arricchire con soluzioni oniriche.
Un disco dalla matrice sicuramente ipnotica è "Waterfall Cities", in cui la tecnica è messa al servizio della psichedelia cosmica più trascendentale. La consapevolezza della presenza di musicisti reali e di strumenti a fiato di diverso tipo, contribuiscono a togliere quella patina di chimicità techno, che personalmente non preferisco rispetto alla controparte psichedelica, in cui si colgono richiami alla poetica visionaria dei primi Pink Floyd e Gong.
Un album che non cambierà sicuramente la storia della musica, ma da canto mio è stata un'influenza che mi ha aperto ulteriormente le porte verso lo sperimentalismo underground in cui sinestesie floreali e antitesi post-atomiche si amalgamano in un'indefinita orgia panica, originando l'Uno.
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