E' sempre difficile parlare di un artista come Ozzy Osbourne, pionere della musica metal assieme ai Black Sabbath e fonte di ispirazione per la quasi totalità della musica rock avvenire. Potremmo partire dal death metal e saltare all'hardcore, passando per i vari protagonisti dell'era grunge come Soundgarden e Melvins, e arrivare allo stoner trovando in ogni caso una qualche sfaccettatura già praticata dall'ex macellaio di Liverpool almeno un ventennio prima. Ancor più difficile è parlarne quando hai sempre avuto poca sintonia con la sua voce per via di una personalissima mancanza di entusiasmo verso il suo timbro. Come sentirsi un pò in colpa per non poter parlare di lui con un adeguato entusiasmo e doversi mettere al riparo dagli strali di eventuali fans inferociti pronti a inseguirti a notte fonda muniti di tutti i suoi vinili all'interno dei tuoi sogni rigeneranti. Per fortuna stiamo parlando di un classico dell'heavy metal anni 80 e soprattutto di un album che vede la presenza per l'ultima volta di un vero artista della sei corde come il compianto Randy Rhoads, che con le sue idee, le sue eroiche scale e le sue orchestrazioni funamboliche conferisce a tutti i brani (anche quelli meno riusciti come "Little Dolls") una marcia in più. Resta così nel cuore un pugno di canzoni, dalla lenta, lugubre marcia ossessiva di "Believer" alla cavalcata in balia delle onde di "S.A.T.O.", davvero molto in stile Iron Maiden, alla perla finale "Diary Of A Madman", trattato metal dalle fosche tinte teatrali che tanto spesso verrà sfruttato da band come i Savatage nel futuro. Il tutto sempre e comunque arricchito dal tocco di Rhoads, lampo di pura classe che ha abbagliato il firmamento rock per un troppo breve istante. Due curiosità: "S.A.T.O." sta per "Sharon Arden, Thelma Osbourne" rispettivamente ultima e prima moglie di Ozzy; mentre il bambino che appare in copertina è il figlio del cantante avuto dalla prima moglie, ma questo già tutti lo saprete...

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