Sancita la burrascosa separazione con la sua band madre, Ozzy intraprese una fortunata carriera solista. Il suo carisma di sguaiato rockster ed il calibro dei chitarristi dei quali fu ottimo talent scout, lo innalzarono a vera e propria icona di un genere. Ed in questo, il singer fu davvero scaltro. Basti pensare che senza di lui gente come Zakk Wilde, per sbarcare il lunario, starebbe ancora a contar galloni ad un distributore degli States. Fatta questa doverosa precisazione, è possibile serenamente affermare che le sue presunte doti canore oramai latitano da quasi trent’anni. E pensare che a sentirlo su “Sabbath Bloody Sabbath”, si ha l’impressione d’aver a che fare con un virtuoso. Forse solo ancora un po’ acerbo, si pensa dando un’ascoltata al bel dischetto. Ma in poche strofe di un qualsiasi lavoro solista, ci si persuade quasi all’idea che il canto non è roba per i figli d’Albione.
Questo “Speak Of The Devil” (1982) ripropone in sede live alcuni tra i maggiori successi dei Black Sabbath, ed alcune songs calzano a pennello con l’approccio decisamente più eighties della band. Episodi come “Symptom Of The Universe”, pezzo d’apertura, ben s’adattano ai suoni dell'epoca. Oppure l’immancabile “Paranoid”, che trascina forse ancor più dell’originale versione. Grande Ozzy poi, quando torna all’armonica delle origini riproponendo “The Wizard”. Ho apprezzato anche "N.I.B", molto accattivante in questa veste più “radiofonica” (digressioni blues a parte).
Purtroppo c’è anche un rovescio della medaglia. In alcuni passaggi, i musici qui reclutati per l’esecuzione, puntano la loro baionetta storpiando dei grandi classici. Alcuni soli inoltre, rispetto alle versioni originali, sono proprio tagliati via (mi chiedo se per volontà di Ozzy). Comunque, è bene precisare che il solo di “Snowblid” potrebbe eseguirlo anche Steve Vai, ma non sarebbe la stessa cosa. E si rimane quasi interdetti sentendo Rudy Sarzo che reinterpreta Butler, soprattutto sulle improvvisazioni di “War Pigs”. Oppure sulle strofe “Fairies Wear Boots”, il bassista personalizza oltremodo l’inconfondibile taglio blues del mitico Geezer. Bravo anche lui, non c’è che dire, ma personalmente preferisco l’originale.
Per nostra fortuna sguaiato e coinvolgente come sempre, il Madman diede alle stampe questo disco quasi contemporaneamente al primo live ufficiale dei suoi ex-compagni (poi disconosciuto per concedere il diritto all’inedito al live della reunion), cominciando a contendersi anche i loro fan. Ancora una mossa da stratega del mercato: l’intero pianeta metallico cominciò a dividersi tra nostalgici dell’era Ozzy ed adepti del nuovo Sabba.
In ogni caso, “Speak Of The Devil” non è deprecabile. Se si è appassionati del genere ne consiglierei l’acquisto assieme a “Live Evil”, di cui è gemello nelle intenzioni, ma del tutto complementare all’ascolto.
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