@ALFAMA mi ha suggerito uno dei dischi più strani io abbia mai ascoltato e io lo propongo nella rassegna #buzz a tutti voi. Eccolo qui.
Emil Richards - New Sound Element: Stones (UNI Records, 1966)
Vallo a capire Emil Richards (classe 1932) come abbia concepito questa space opera denominata "New Sounds Element: Stones" e pubblicata nel lontano 1966 (UNI Records). Percussionista e allo stesso tempo pioniere nel campo della sperimentazione e nell'uso di strumentazioni all'avanguardia, Emil Richards registra il disco con un sestetto messo in piedi per l'occasione. Il disco si potrebbe ascrivere al genere free-jazz: ognuna delle composizioni è idealmente dedicata a un mese dell'anno da gennaio a dicembre. Comunque non ci vuole molto per capire che ci troviamo davanti a un disco assolutamente stravagante e le cui sonorità sono assolutamente imprevedibili. Accanto alla componente jazz di base, RIchards sperimenta nell'uso dei sintetizzatori conferendo al suono quel carattere tipico della space-age, ma poi aggiunge suoni di timpani, campanelli, xilofoni e il suono di carillon, senza considerare alcune sonorità calypso. Ogni canzone, come detto, rappresenta idealmente una stagione, ma anche una storia completamente a sé per quanto riguarda la sua struttura compositiva. Se esiste un disco che andrebbe recensito in quella formula generalmente poco gradita - quella track-by-track - eccolo qui. Altrimenti limitatevi semplicemente ad ascoltarlo a occhi chiusi come una sola opera e calatevi appieno in queste magiche atmosfere di cristallo.
“New Sound Element Stones” (Usa, 1966) de Emil Richards
#jazz #avantgarde #experimental
Emil Richards - New Sound Element: Stones (UNI Records, 1966)
Vallo a capire Emil Richards (classe 1932) come abbia concepito questa space opera denominata "New Sounds Element: Stones" e pubblicata nel lontano 1966 (UNI Records). Percussionista e allo stesso tempo pioniere nel campo della sperimentazione e nell'uso di strumentazioni all'avanguardia, Emil Richards registra il disco con un sestetto messo in piedi per l'occasione. Il disco si potrebbe ascrivere al genere free-jazz: ognuna delle composizioni è idealmente dedicata a un mese dell'anno da gennaio a dicembre. Comunque non ci vuole molto per capire che ci troviamo davanti a un disco assolutamente stravagante e le cui sonorità sono assolutamente imprevedibili. Accanto alla componente jazz di base, RIchards sperimenta nell'uso dei sintetizzatori conferendo al suono quel carattere tipico della space-age, ma poi aggiunge suoni di timpani, campanelli, xilofoni e il suono di carillon, senza considerare alcune sonorità calypso. Ogni canzone, come detto, rappresenta idealmente una stagione, ma anche una storia completamente a sé per quanto riguarda la sua struttura compositiva. Se esiste un disco che andrebbe recensito in quella formula generalmente poco gradita - quella track-by-track - eccolo qui. Altrimenti limitatevi semplicemente ad ascoltarlo a occhi chiusi come una sola opera e calatevi appieno in queste magiche atmosfere di cristallo.
“New Sound Element Stones” (Usa, 1966) de Emil Richards
#jazz #avantgarde #experimental
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