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Chi fermerà queste croci?

La canzone "Chi fermerà queste croci?" è concepita come un salmo biblico sull'eterno femminicidio.

E' un lungo, doloroso elenco di morti femminili e di violenze avvenute solo negli ultimi due anni in Italia, ma è come se abbracciasse un arco di tempo e di spazio sconfinato.

Riguarda un crimine che è avvenuto sistematicamente per secoli, senza quasi mai apparire nella sua fenomenologia di strage senza fine o come inquietante patologia sociale.

Sappiamo della strage degli innocenti, dai racconti evangelici e dall'iconografia pittorica di cui è stata uno dei temi più diffusi, ma della carneficina di donne nei secoli non si è mai parlato in maniera diffusa, se escludiamo i tempi crudeli della Santa Inquisizione e della Caccia alle Streghe, quasi mai c'è stata una vera consapevolezza, una preoccupazione delle gerarchie sociali o un'indignazione popolare al riguardo.

Basti pensare che il termine uxoricidio, etimologicamente significa uccisione della moglie (dal latino uxor-moglie), ma non c'è l'equivalente nome del reato al contrario, cioè dell'uccisione del marito da parte della consorte, tanto che la parola “uxoricidio” è stata estesa, come termine legale, col significato di uccisione del coniuge, ma l'etimologia sappiamo bene che è un'altra, dimostrando chiaramente qual è il delitto più comune da sempre.

Leggendo quella macabra lista di donne assassinate, avevo la sensazione che, pur nella difformità della ferocia subita, delle diverse età: dalla prima adolescenza, alla vecchiaia, la diversità dei paesi di provenienza, dello stato sociale, al di là di tutto questo insomma, ci fosse una rappresentazione che univa queste vittime in un comune, grande affresco.

Così, un po' alla volta, ho visto snodarsi, con la forma a spirale dell'infinito, una processione in cui, nell'interminabile colonna, le vittime, come in un mosaico bizantino, avevano le stesse sembianze e gli stessi vestiti, come se la morte le avesse accomunate in un martirio di testimonianza e di lotta, contro una cultura che non vuole accettare la loro libertà di scelta e quindi la loro felicità, vista come la massima provocazione e minaccia per l' assassino spietato e perduto.

L'ho scritta sia nell'accezione di chi fermerà questa strage, sia nel significato che nessuno potrà mai arrestare questo lontano, paziente, instancabile scalpellio delle donne contro l'antico muro del loro olocausto, coperto da un pulviscolo di nomi, di capelli, di labbra, di forcine, di gocce di sangue e di lacrime.

(Massimo Bubola)
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