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«Non v’è nulla di più futile della recensione; gesto miserabile, irresponsabile, ritaglio di chiacchiera, gomitolo di inutili aggettivi, di frivoli avverbi, di risibili sentenze. Ma appunto questa fatuità insolente può fare della recensione un ‘genere’ letterario più infimo che minore, una ciancia da angiporti, un berlingare senile; e dunque anche alla recensione può spettare una qualche accoglienza nella disordinata, chiassosa piazza dei mestieri letterari, tra il poema epico e l’epigramma, il sonetto caudato e il capitolo in rima. Diverte pensare l’articolo letterario come imparentato all’Elogio dell’anguilla-pesce nobilmente lubrico – o dell’orinale – oggetto intimo, tristo e irrinunciabile, materia di riso e cruccio. Appunto, un che di ambiguo, di esiguo, di esile ed elusivo, e insieme di futile e povero, e tuttavia costante, una cosa sciocca e inquietante come l’ombra. Se la letteratura è un sogno caotico e sfrenato, una città frequentata da cantafavole, buffoni, prèfiche a pagamento, ciarlatani virtuosi e predicatori di elaborati vizi, ecco che il recensore sarà il buffone del buffone, la spalla del grande tragico, la claque del meditabondo, il parassita del pe­dante. Ecco, il parassita, nobile, arcaica, odiosa e petulante figura che appartiene alle più antiche tradizioni dell’urbanistica della suburra letteraria. Il parassita è un impasto di smorfie, di fraintendimenti, parole storpiate, echi equivoci, rumori sconci, lazzi pensosi e concetti sbracati; che chiedere di più pertinente a un discorso letterario, ornata, splendida orazione funebre in onore dell’unico eroe attendibile, l’eroe negativo! Indulgenti, preoccupati, gettate il vostro obolo al furbo parassita».

G. Manganelli, Altre concupiscenze, Adelphi, 2022.
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