Al di la della stupida diatriba sono meglio questi o quelli la (indovinate un po’ a chi mi sto riferendo), i Pain Of Salvation sono un gruppo che va premiato ad occhi chiusi: nell’arco di poco meno di nove anni hanno già all’attivo la bellezza di sei album in studio, tutti di buona qualità, un DVD live prodotto nel 2005 ed infine un live acustico di grande fascino. “12:5”, questo il titolo dell’ultimo lavoro prima menzionato è la registrazione di un live tenutosi il 12 Maggio del 2003 nella città di provenienza di questi svedesi, ossia Eskilstuna. I brani, tutti rigorosamente acustici e scevri da ogni impronta elettrica, ricoprono un po’ tutta la carriera di Daniel Gildenlow e compagni, per oltre un’ora di musica.

Ora potreste chiedervi che cosa ha di tanto speciale un live acustico, infondo tante band già lo hanno proposto, ma questa volta c’è qualche cosa di diverso dal solito concertino, qui traspare davvero tutta la sensibilità e il cuore di questo combo, che si presenta in una veste totalmente nuova e diversa, dalla quale traspare un animo gentile e delicato, che i nostri tendevano spesso a tenere nascosto. Tecnicamente la band si dimostra ancora una volta dotata di una tecnica esecutiva davvero eccellente, ma a sbalordire ancor di più è il modo in cui i brani, quasi tutti in possesso di un mood particolarmente negativo nelle versioni originali, riescono a sprizzare luce e solarità da ogni nota, come si può notare in tutti e tre i capitoli in cui l’album è suddiviso che rispondono ai nomi di:

  • Genesis
  • Genesister
  • Genesinister

Il primo capitolo racchiude in se “Leaving Entropia”, “This Heart Of Mine” e “Song For The Innocent”, tutte e tre quasi irriconoscibili tanto risultano delicate e leggere. Gildenlow delizia con la sua voce che passa da parti piene e corpose ad altre quasi sussurrate e riflessive. Sotto “Genesister” troviamo invece “Winning A War”, “Reconciliation” (nella quale Kristoffer si diverte a giocare col pubblico suonando un “jingle” di Star Wars, se non vado errando), “Dryad Of The Woods”, rimasta questa pressoché invariata vista la quasi totale mancanza di elementi più heavy dell’originale. Si continua con “Oblivion Ocean”, rivisitata in un versione quasi jazz (alcune parti mi hanno riportato in mente le parti più rockeggianti dei nostri Perigeo), ma con un’atmosfera abbastanza cupa dovuta perlopiù alla voce bassa di Daniel. “Undertow” e “Chainsling” chiudono il secondo “libro” con atmosfere quasi medievaleggianti.

“Book III Genesinister” si apre con due brevi strumentali, il secondo dei quali ripreso dalla parte strumentale di “Her Voices”, per poi proseguire con “Brickwork part 2. VIII”, che apre le porte alla più bella canzone della serata, ossia quella “Ashes” di “The Perfect Element” che si trasforma in un pezzo dalla dolcezza infinita, quasi una canzone d’amore: ora non vorrei sembrare un pazzo sull’orlo di una crisi di follia, ma davvero, l’ascolto di questa canzone mi ha fatto sobbalzare tanto riesce a essere leggera e vuota da tutta l’atmosfera negativa presente nella versione originale.

Tra gli applausi del pubblico e un “allungamento” del finale di “Ashes” si chiude così un album che diverte, sorprende e shocka, un album insomma di cui si sentiva davvero il bisogno.

Ad oggi i Pain Of Salvation risultano essere una band assolutamente completa, priva o quasi di punti deboli, che si è dimostrata capace di arrivare la dove gli “altri” ancora non si sono spinti... quanto mi piacciono le stupide diatribe.

Bravissimi.

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