Io ho sempre adorato i Pain of Salvation.
Fin dal 1997, con il loro esordio "Entropia" notai nella loro musica quello che raramente avevo trovato condensato in altri gruppi: melodia, gusto, tecnica e grandi testi. Inoltre Daniel Gildenlow e soci hanno sempre dimostrato di non voler fossilizzarsi su di un'unica soluzione, anzi, hanno sempre fatto vedere che i loro album sono sempre molto differenti l'uno dall'altro, sia nelle tematiche che nelle musiche (non a caso ogni album viene considerato dal gruppo un "mondo" a sè stante). Fino al 2002, con "Remedy Lane", hanno raccolto consensi praticamente ovunque, affermandosi come una delle prog band più affermate del panorama europeo. Ma nel 2004 arriva il pomo della discordia, ossia "BE". Album orchestrale, ai limiti dell'avanguardia, di sicuro distante da qualsiasi lavoro mai pubblicato dal gruppo; alcuni lo considerano lo zenit della loro carriera, altri lo giudicano fin troppo magniloquento e dispersivo (personalmente, l'ho adorato). I fan si dividono, ma la band continua imperterrita sulla sua strada, così da arrivare al 2007 con "Scarsick", che a sua volta spacca in due i proseliti della band svedese, ma per il motivo assolutamente opposto: aridità negli arrangiamenti, abuso del cantato rap, sperimentazioni ("America" e soprattutto "Disco Queen") fini a sè stesse. Dopo due album così sperimentali e al tempo stesso così diversi, che cosa possiamo aspettarci dai Pain of Salvation, nell'anno di grazia 2009?
"1976 on steroids" aveva dichiarato Daniel Gildenlow, riguardo all'album (doppio) di prossima uscita, "Road Salt", di cui questo "Linoleum" è un antipasto. 4 canzoni inedite, 1 cover degli Scorpions (datata, guarda caso, 1976) e una (simpatica) bonus track: che cosa troviamo, quindi? Già dal giro di chitarra che apre la title track, capiamo che i Pain of Salvation hanno completamente lasciato da parte i sontuosi arrangiamenti di "BE" e anzi, amplificato ed esasperato la strada intrapresa già col precedente "Scarsick". Dritti al punto, ma non senza abbandonare il gusto per la melodia caratteristico del gruppo. Chitarre al centro dell'attenzione, tastiera che si limita ad un mero accompagnamento (dimenticate i vezzi solistici di "Pluvius Aestivus") e batteria più varia e potente che mai. "Disperazione" è però la parola chiave di questo Ep. In linea con il concept (affine a quello di "Remedy Lane") ogni singola nota sprigionata dal gruppo, filtrata da una produzione sporca come non mai (in linea con il sound made of '70) trasmette un senso di oppressione, di soffocamento, di dolore trattenuto e in attesa di esplodere, come una bomba ad orologeria; un dolore misto ad una rabbia impotente, di chi non ha la possibilità di opporsi. Ma se la title track rappresenta il lato brutale e diretto della band, "Gone" rappresenta quello più complesso e sfaccettato: 7 minuti in cui la voce sofferta del sempre ottimo Gildenlow è accompagnata da ritmi lenti, quasi da ballad, alternati a parti più dure nel ritornello, e un bridge che, dolcemente, sfocia nella distruttiva parte finale. Molto probabilmente il futuro della band è riassunto in quella manciata di minuti.
I Pain of Salvation si dimostrano quindi una band che non ha paura dei cambiamenti, e soprattutto non ha paura di mettersi alla mercè delle critiche dei fans: mutamenti così radicali difficilmente si sono mai sentiti, eppure questo concentrato di hard rock, blues e psichedelia made of Sweden si dimostra ben amalgamato e congegnato, così come la nuova strada intrapresa dal gruppo non sembra affatto sfigurare rispetto ai classici passati di Gildenlow e soci. Che il prossimo "Road Salt" sia una nuova vetta nella carriera artistica di questo gruppo?
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