La storia recente della band di Daniel “ugola d’oro” Gildenlow e soci è alquanto controversa: il primo capitolo del progetto che risponde al nome di “Road Salt” aveva deluso e spiazzato la maggior parte dei fan della prima ora, a causa dell’accantonamento definitivo di quelle sonorità progressive Metal che tanto avevano caratterizzato i primi anni di vita della band (poi ridimensionate dall’ ambizioso “BE” e lo sperimentale “Scarsick”) a favore di altre decisamente più “rock” e citazionistiche.
Il secondo capitolo come da programma porta avanti queste linee guida, rivelandosi agli orecchi dell’ascoltatore come un lavoro molto teatrale e derivativo, dedito ad un’opera di revival di sonorità tipicamente settantiane e non solo.
C’è un po’ di tutto in questo calderone retrò che fin dall’inizio trova nei Led Zeppelin III e IV la vera fonte di ispirazione: riffs energici, ballate intense ed emotive… fa capolino addirittura un mandolino (“Healing Now”)! Il tutto accompagnato da curiosi intermezzi orchestrali del "Road Salt Theme", apparentemente usciti da chissà quale pellicola in bianco e nero, un sorprendente omaggio alla colonne sonore western di Ennio Morricone (“To The Shoreline”) e ovviamente il tipico sound PoS. Un alternarsi di sofferenza ed estasi, gioia e dolore, cupe chitarre e naturalmente coinvolgenti vocalizzi in perfetto stile Gildenlow.
Arrivati a questo punto chi si avvicina a questo lavoro potrebbe avere un paio di domande (almeno da un punto di vista di fan della band quale sono io): tutto questo sembra molto interessante, ma funziona davvero? E’ legittimo sentire la mancanza del buon vecchio, spettacolare metal pirotecnico?
La risposta dal canto mio potrebbe essere un ambiguo “nì”.
Già, perché il revival del blues zeppeliano, che dovrebbe essere il punto di forza di questo lavoro per chi apprezza sonorità dirette e grintose, agli occhi dei delusi dal nuovo corso appare sgraziato e sporco, molto lontano dalla ricercatezza di “Remedy Lane” o di “The Perfect Element”.
Pezzi come “Conditioned”, “She Softly Cry” o “Eleven” appaiono a tratti stereotipati nei loro blues che sfociano in modo ricorrente in un crescendo cupo e sofferto.
Il coinvolgimento emotivo se non altro è elevato, grazie sopratutto alle già citate doti della incredibile voce di Daniel, vero e proprio cuore del nuovo corso: tutto passa dalle sue corde vocali, e ogni pezzo viene interamente trascinato dal teatrale frontman, dai già citati blues sporchi alle sfuriate più cattive (“The Deeper Cut”, “Mortar Grind” e “The Phisics of Gridlock”), per arrivare infine alla delicatezza delle ballate (la malinconica “1979” e la leggiadra “Through The Distance”). Dispiace vedere tuttavia come gli altri membri della band limitino il più delle volte le proprie ottime abilità esecutive ad un semplice accompagnamento per il proprio cantante, quasi alla stregua di mere comparse nell’opera del piuttosto egocentrico Gildenlow.
Alla fine dell’album abbiamo degli orchestrali titoli di coda, una sorta di pausa strumentale che ci da’ il tempo per riflettere su cosa abbiamo ascoltato.
In un certo senso trovo che sia da ammirare il coraggio della band nel tentativo di rivoluzionare il proprio sound. Il difficile ciclo di “Road Salt I/II” ha suscitato polemiche, ha diviso critica e fans, ed è probabile che le ferite provocate da certe scelte non potrebbero essere rimarginate con un ritorno alle vecchie sonorità (mossa che di certo non appartiene allo stile dei nostri svedesi).
Un disco in definitiva molto difficile da assimilare e che necessità di più di un ascolto. Giusto il tempo di capire cosa inventeranno gli imprevedibili PoS per le future uscite (Mooooolto tempo, insomma... ).
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