Innovazione. 

L'incredibile innovazione è l'unica parola per descrivere la musica dei Pain of Salvation. Difficile descrivere l'evoluzione di questo gruppo da me sempre sottovalutato. Eppure mi stupiscono questi ragazzi che ad ogni album sfornano idee sempre fresche, nuove, originali, che spiazzano per la loro imprevedibilità sia musicale che stilistica. Questa volta i Pain of Salvation mi hanno stupito, e per mia fortuna non ho interrotto l'ascolto dopo le prime 3 tracce. Un disco dalla durata di 67 minuti, che alla fine sembrano così pochi, veloci, ma trascinanti e trasportanti.

Scarsick, il nuovo album, rappresenta l'ennesimo capitolo di un'evoluzione che sembra infinita. Abbandonate le atmosfere depressive di “Remedy lane” e le sperimentazioni disumane del controverso “Be”, questo lavoro si presenta con canzoni dirette, meno ostiche, a tratti per nulla progressive, dotate di varie sfumature e contaminate da rap e a tratti ska, per poi tornare sui lidi più cari alla particolare voce di Gildenlow.

Per soffermarci un momento su ciò che è sottinteso, questo disco potrebbe rivelarsi come il tanto atteso “The perfect element pt2”, per via di alcune somiglianze nei titoli e in alcuni refrain e ritornelli di alcune canzoni come Kingdom of Loss e King of Loss, oppure Idiocracy e Idioglassia. O addirittura, durante il disco sono presenti autocitazioni che rimandano al vecchio “Entropia”. . . Ma comunque sono tutte indiscrezioni per nulla confermate dalla band.

Parlando della musica in senso stretto, il disco, come detto in precedenza, appare diretto e meno complesso e cerebrale di “Be”. Parte forte con la titletrack “Scarsick”, dai tratti simil-rap, energica. Si nota la quasi totale assenza di linee strumentali e solistiche che vanno a vantaggio di una maggior omogeneità. Il sound claustrofobico e depressivo della band sembra quasi abbandonato a favore di un sound aggressivo come in “Spitfall”, in cui Daniel si lancia in un atipico cantato rap. Ritornano le atmosfere romantiche e malinconiche invece in “Cribcaged”. Bellissimo brano, in cui Gildenlow finalmente mi convince in un cantato sofferto e altamente espressivo. Il brano si organizza in un climax ascendente e affascinante che trasporta velocemente allo ska di “America”, esperimento ottimo direi. Sperimentazione che si ripete prepotente nella seguente “Disco Queen”. Un brano lungo e articolato, a tratti monotono in una passione (intesa nel suo sifgnificato religioso) sonora nella melodia più stralunata. “Kingdom of loss” ribadisce e sottolinea sempre più la forte emotività di Gildenlow, che interpreta con sofferenza autentica una canzone dolce e decadente, in forte contrasto con l'allegria fanciullesca dei due brani precedenti. In una progressione emotiva da brividi sentiamo i Pain Of Salvation che ci riportano nell'abisso delle emozioni umane, continuando in un atmosfera schizofrenica con “Mrs Modern Mother mary”, canzone corta ed efficace. Atmosfere pacate ed orientali, a tratti tribali eccheggiano in “idiocracy” mentre l'aggressività vocale torna padrona in “Flame to the moth”, in una canzone abbastanza semplice e dal ritornello prevedibile ma efficace. Chiude depressivamente “Enter rain”, in un tripudio di sonorità morbide e a tratti psichedeliche, affascinante manifesto delle capacità sperimentali di questo gruppo.

Mai mi hanno coinvolto così, i Pain of Salvation. Eppure in questo disco sono riusciti ad abbandonare quella pesantezza emotiva che da sempre li contraddistingue creando un lavoro certamente emotivo, ma accessibile, certamente passionale ma che sa coinvolgere, certamente depressivo ma dotato di spiragli di luce.

Stupiscono, da sempre, e ancora una volta.

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