La creatura più straordinaria di Zorn, a mio parere, sono i Naked City, tra i miei gruppi preferiti in assoluto. Una formazione che ha saputo mettere in scena con una libertà eccezionale un genere musicale a sé stante, in grado di fondere anche in un pezzo di 15 secondi genere incfonciliabili (grindcore e jazz, swing e hardcore).

Più che il primo e osannato omonimo - comunque molto bello -apprezzo soprattutto i loro rischi più estremi (il capolavoro "Torture Garden" e, soprattutto, "Leng Tch'E", sostanzialmente la catarsi in musica come nessuno ha saputo metterla in scena). 

Amo anche lo Zorn solista, come avrete già sicuramente afferrato, ma il mio cuore continua a ricordarselo in quei deliri schizzati ridotti a scarti di secondi di pura violenza sonora. In quei dischi (anche nel lento "Absinthe", praticamente inaccessibile eppure meraviglioso) c'era una continua tendenza (raggiunta alla perfezione) di ubificarsi con destrezza tra un orgasmo lberatorio e l'orrore della morte. 

Mai più ci sarà un altro gruppo del genere.

Poco dopo scoprii i Painkiller, un'altra superformazione del solito John che riprende il percorso tracciato dai Città Nuda per rielaborarlo sotto profili diversi, ma non meno scioccanti. Lui lo troviamo alla voce e al sassofono alto (ovviamente).

Ad accompagnarlo in questo viaggio nel lugubre ci pensano Bill Laswell (basso), Mick Harris (voce e batteria) ed, entrambi alle percussioni, Hamid Drake e Tatsuya Yoshida.

Il supergruppo è ancora in attività, ma dettato da una scarsa produzione (tre album di inediti e diversi live), dovuta anche all'energia che Zorn riversa sulla sua sconfinata produzione solista. 

Chi, come me, preferisce lo Zorn più violento a quello più accessibile, non può che trovare gioia per le orecchie nei tre dischi d'inediti dei Painkiller, tutti irrinunciabili. Soprattutto il primo, "Guts Of A Virgin" è un immancabile pugno nello stomaco, sanguinario e devastante come un incubo ad occhi aperti.

Ma è del cadaverico e putrefatto "Execution Ground" che vorrei parlarvi. Cinque lunghe composizioni che paiono jam session tribali-esoteriche, in bilico ancora una volta tra generi e mood diversi: dub e avant-garde metal, dark jazz e rimasugli del grindcore memore dei Naked City e l'oscurità soffocante del dark ambient. Non ha la violenza di forte impatto che i due precedenti lavori dei Painkiller ("Guts Of A Virgin" e "Buried Secrets"), ma preferisce rallentare i tempi, conducendoci direttamente in un vero e proprio buco nero sonoro. 

Non soffermatevi sulle tracce con i vari titoli (in verità due pezzi si ripetono in due versioni differenti): mettete il disco nello stereo e lasciatevi andare. Date poco peso a chi suona cosa e perché. Siate fiduciosi: è musica catartica e, come tale, va vissuta.

Chiudete i vostri occhi e lasciatevi pian piano travolgere da questa catarsi di suoni, questo piccolo e abissale aldilà. 

I tempi si dilatano fino a raggiungere un sospiro mortifero, ma al contempo rilassante e opprimente. Sì, io trovo estremamente rilassante questa liturgia, questa messa nera del jazz, annegata in un universo che, forse, non ci appartiene. Dalle aperture di violenza inaudita, con il sax sanguinario di Zorn e il battere selvatico delle percussioni a improvvisi solchi di buio.

Non è il disco migliore dei Painkiller (per quello io direi, ad occhi chiusi, l'ispiratissimo "Guts Of A Virgin"), ma "Execution Ground" è comunque un'opera monolitica, statuaria e allo stesso tempo sanguigna. Capace di portarci al centro di una foresta infestata: un disco tribale, pagano e zombie. Malato e inquietante, sofferto e assassino.

Da non perdere. 

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