A volte ci portiamo a casa dei CD che, dopo alcuni ascolti, si rivelano acquisti non molto felici. Questo é uno di quei casi. Non è bello giudicare partendo dalla fine, ma per recensire questo lavoro devo necessariamente dare un giudizio ignorando il passato Pallas: questo nome, ai più, non dirà niente; agli amanti del genere, come chi scrive, è legato al filone del new progressive tipicamente anni '80. Quanta acqua è passata sotto i ponti! Molte di quelle formazioni non esistono più; i superstiti si dividono tra chi ha tentato di riciclarsi in vari modi e con alterne fortune, tra chi e rimasto fedele a quel periodo e chi arranca nel tentativo di stare al passo con i tempi. I nostri cercano di stare con i loro piedi in tutte queste scarpe. Provando, con espedienti di varia natura, a rimescolare le carte in tavola per dare nuova linfa alla loro musica. Anche se la cosa è apprezzabile, per certi versi palesa anche il limite creativo. Perché loro, come chi ha già percorso questa strada, tentano la svolta imboccando una strada troppo facile: quella che porta ad un buon hard rock (genere con cui si etichettano quelli che finiscono in questo calderone/limbo, dove c'é di tutto un po': ma se la definizione non vi piace, chiamatelo AOR o come più vi piace, la solfa è sempre quella!). Per tutta la durata del disco aleggia la presenza di tastiere che divagano spesso tra il sinfonico ed il gotico con sprazzi di musica sacra da cattedrale; c'è spazio per una soave voce di donzella, di stampo vagamente operistico, che, peraltro, occupa massicciamente la seconda parte della conclusiva "The Last Angel"; ed anche per un coro gospel in "Messiah", il canto di uno sciamano pellerossa in "Ghostdancer", mentre in "Northern Star", completamente slegata dal contesto, sembra che Mike Oldfield sia la special guest, anche se non appare nelle menzioni del booklet. Probabilmente i nostri volevano intavolare, in musica, un discorso legato al sogno, al mondo onirico in generale, spaziando tra l’etnico ed il culturale a 360°. Non calcolando il rischio tangibile di finire per creare un prodotto, però, non omogeneo. Ma alla fine di tutto ‘sto bel discorso, il progressive, dove sta? Dobbiamo aspettare "Too Close To The Sun" per avere una risposta. Per il resto, non è che non ce ne siano tracce: anzi, ma sono gettate un po' qua e un po' là, quasi ad accontentare il fan sfegatato. Il resto è musica onesta, buone prove individuali, ma nulla per cui gridare al miracolo. La strada che conduce ad un futuro meno incerto è ancora irta, cari miei!
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