Nell'affollato panorama del pop britannico, Paloma Faith rappresenta da diversi anni a questa parte un caso più unico che raro nel mercato musicale: trattasi infatti di uno dei pochissimi personaggi il cui grande successo nelle classifiche si accompagna a delle qualità musicali e canore tutt'altro che trascurabili. Tale successo è dovuto al fatto che la cantautrice di Hackney è capace di stare tranquillamente davanti alle telecamere e sotto ai riflettori proponendosi esattamente per quello che è: una ragazza simpatica, schietta e stralunata, ma intelligente e ironica, a cui piace vestirsi in maniera eccentrica senza seguire troppo le mode e, soprattutto, senza dimenticarsi di fare quello che le riesce meglio, ovvero cantare. E in "Fall to Grace" a risplendere più di ogni altra cosa è proprio la voce della Faith: potente, teatrale ed espressiva, è una delle migliori che siano emerse negli ultimi anni e si rivela in grado di donare un alone cinematografico a qualsiasi cosa essa canti. Quest'ultima caratteristica in particolare emerge prepotentemente in questo secondo album, in cui vengono abbandonate le trovate più particolari ed eccentriche del debutto "Do You Want the Truth or Something Beautiful?" (gioiellino pop-soul che consiglio di recuperare a chi se lo fosse perso) in favore di un'elettronica magniloquente e a tratti un po' troppo pomposa, ma comunque ben fatta e che, grazie alle capacità interpretative di Paloma, acquisisce una sua unicità sia nel pulsare disco à la Donna Summer di pezzi come "30 Minute Love Affair", "Freedom" e "Blood, Sweat and Tears", sia in solenni power-ballads soul quali "Picking Up the Pieces", "Agony" e "Black and Blue", a cui fanno da contraltare le più intimiste "Streets of Glory" e "Just Be". Le caratteristiche perché questo secondo album sia al livello del primo, se non addirittura superiore, dunque ci sarebbero tutte, ma sulla lunga distanza "Fall to Grace" soffre di una pesantezza di fondo che gli impedisce di andare oltre le soglie di una comunque abbondante sufficienza, cosa dovuta principalmente alla scelta, operata da Paloma stessa, di concentrarsi su canzoni quasi tutte a sfondo romantico-amoroso e alla produzione che, seppur tutt'altro che da buttare, risente dell'essere curata quasi esclusivamente da Nellee Hooper, risultando a tratti monotona e piatta. Nonostante ciò, la seconda prova in studio della Faith, pur non raggiungendo i picchi del debutto, può considerarsi tutto sommato superata, dato che con questo disco si conferma una brava autrice e interprete evitando, tra l'altro, di ripetersi cimentandosi in generi e sonorità diverse da quelle da lei esplorate in precedenza, anche se rimane un po' di delusione per un album che, per come era stato concepito, aveva sicuramente un potenziale ben maggiore di quello espresso.
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