Hendrick Weber, in arte Pantha du Prince, immagino non se lo filassero in tanti prima dell'uscita di questo "Black Noise", dischetto acclamato universalmente dalla stampa specializzata e non. Fra coloro che non ne avevano mai sentito parlare c'ero pur'io. So bene che non bisognerebbe mai prendere per oro colato quello che dicono le riviste ma quando ti trovi di fronte a nomi come Pitchfork, The Guardian, Drowned in Sound e perfino Ondarock tutti chini a rendere grazie a questo nuovo eroe dell'elettronica minimalista crucca, qualche piccolo interesse è normale che nasca. Poi, cacchio, c'è pure Panda Bear che canta in un brano: devo proprio ascoltarlo, allora.

Orbene, mi avvicino a questo "Black Noise" senza aver ben capito che cavolo sia veramente. Lo faccio partire e dopo un'ora e 10 minuti è tutto finito. Mi allontano da questo "Black Noise" senza aver ben capito che cavolo sia veramente.

Ci riprovo, e stavolta presto un po' più d'attenzione. Vediamo: campanelle tubolari, campanelline, campanellette, ferraglie che si scontrano teneramente, brezze di mare, fruscii leggeri, evanescenze, pollini sintetici che vanno e vengono. Ecco, è ambient. Però, no, no, no, non è proprio ambient. Ci sono queste pulsazioni cadenzate di sottofondo, questi hanclapping "legnosi" persistenti, queste viscide steel drum che chiedono di continuo attenzione, esigono attenzione. Non è proprio un disco che metti sù, lo ignori e quello fa il suo lavoro "di arredo". 

Ascoltando questo disco viene quasi naturale (aiutati dalla evocativa e splendida copertina) immaginare di essere una rondine che sorvola enormi spazi aperti, campi fioriti, fiordi, mari spumeggianti, deserti in tempesta. Fa freddo, poi fa caldo, poi ecco, di nuovo, il freddo. Non è certo il primo album in grado di suscitare questo tipo di emozioni. Mi viene in mente ad esempio () dei Sigur Rós, con i suoi vulcani, le sue foreste, le sue placche terrestri che si spostano. Anche se la differenza sostanziale è che mentre nel disco del gruppo islandese ci sono picchi emotivi a iosa, qui si predilige una certa stabilità: tutti i brani, infatti, non giungono a momenti clou, non hanno crescendo vertiginosi (sebbene piuttosto lunghi con una media di 7 minuti a brano), sono intensi dall'inizio alla fine, ma sempre sullo stesso grado di intensità. 11 brani brillanti e freschi allo stesso modo, tant'è che non mi viene da citarne nessuno in particolare.

Tutto sommato "Black Noise" è un disco bellissimo e tecnicamente perfetto. Detto questo, non so davvero che voto dargli. Non so nemmeno cosa pensare veramente di questo disco. Sono bei pezzi, certo: delicati, suadenti, scivolosi, luccicanti. Raffigurano fonicamente l'alba più splendente e nitida che abbiate mai visto. Un'alba da polo nord. Mi rendo, però, perfettamente conto che tutta questa bellezza e perfezione, se a qualcuno può piacere da morire, a qualcun'altro potrebbe far veramente cagare. Credo sia uno di quei dischi che o fanno innamorare al primo ascolto o non c'è proprio nulla da fare, pertanto è difficile riuscire a trovare un giudizio obiettivo, un punto di raccordo. Sarebbe comunque  ingrato da parte mia non dire di aver scoperto un eccellente artigiano del suono che va tenuto d'occhio in futuro (assieme ad altri ben più blasonati tipo Four Tet, Ellen Allien, Eluvium, Basinski, ecc.)

In definitiva un disco che davvero merita un ascolto. Magari è il disco della vostra vita, magari proprio un cazzo, ma se non provate non lo saprete mai.

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