Quando Paola Turci presentò Saluto l'inverno al Festival della Canzone Italiana la "giuria" non le diede un buona posizione nella classifica finale. La classificarono a un misero e mediocre quinto posto. Prima di lei artisti che in seguito avrebbero avuto quel grande successo che la Turci non avrebbe mai raggiunto. Quell'anno vinse Elisa, con Luce (Tramonti a Nord-Est), e Giorgia si classificò seconda con il brano Di sole e d'azzurro. Terzo e quarto posto per due canzoni mediocri e assolutamente dimenticabili, quali sono Questa nostra grande storia d'amore e L'acrobata, rispettivamente dei Matia Bazar e Michele Zarrillo. La giuria evidentemente non valutò adeguatamente la canzone della Turci: lesse bene il testo? Esaminò attentamente ogni singola parola e in seguito il concetto globale che voleva dare la canzone? No.

Camen Consoli fece sicuramente un buon lavoro. Scrisse un testo che sapeva di poesia, un testo all'italiana, la vera musica italiana: quella cantautorale, sull'iter dei più grandi cantautori italiani quali Battisti e De Andrè, invidiabili dalla stragrande maggioranza dei cantanti contemporanei, che scrivono canzoni non più per i due scopi principali per cui scrive un cantautore, che sono la passione e il lucro, ma solo per il lucro. Attualmente in Italia si trova un valido cantautore ogni 1000. Valeria Rossi era ed è una cantautrice, ma i suoi brani e i suoi cd non sono minimamente paragonabili alle opere dell'ingegno scaturite dalle menti dei due grandi padri della musica cantautorale italiana.

Tornando a parlare del brano della Turci, si può dire che è molto ben fatto, con una buona musica e un buonissimo testo. La Consoli riuscì ad amalgamare aggettivi e nomi in modo ammirabile: fervido-impulso, perenne-viaggio, insolita-ebbrezza. Niente a che vedere con gli astrusi testi di un De Andrè o di un Mogol, ma comunque rispettabili.

A mio parere quel Sanremo del 2001 fu un Festival con molte canzoni oggettivamente buone: purtroppo la giuria non valutò adeguatamente, essendo formata al tempo come oggi da persone che con la musica avevano poco o niente a che fare. Questa canzone è un classico esempio che conferma che la buona musica italiana non è ancora morta, ma rivive (sempre più sporadicamente) in alcune canzoni partorite da qualche superstite sopravvissuto al naufragio della musica cantautorlale italiana.

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