Scenario.
Sono nella biblioteca del mio paesino, e la mia intenzione pura e viva è di prendere in prestito finalmente quel Walden di Toureau che ormai da mesi voglio leggere.
Sarà un sacco che non ci vado in biblioteca, almeno da prima del Covid, ma la verità è che non è colpa del covid se non ci sono tornato per anni, ma del mio mettere la lettura da parte, troppo da parte. Leggere qualcosa prima di andare a dormire, avevo dimaneticato quanto può essere rilassante.
Ma non è la mia giornata e Walden non c'è, deve arrivare.
E che faccio? Me ne vado a mani vuote?
Non ero preparato ad andarmene senza niente, per cui mi metto a dare un occhio nella - seppur ristretta - sezione musica.
Trovo abbastanza presto questo libro. 1991. Perfetto, è il mio anno. Non posso cascare male. Preso. Mio. Almeno fino al prossimo mese.
Arrivo a casa ed inizio a sfogliarlo, e la cosa che noto subito con piacere è che il libro (corposo, circa 350 pagine) inizia con una citazione degli Ustmamò. Gruppo dell'appennino reggiano. Quasi dalle mie parti praticamente. Mi entra subito in simpatia, l'autore Paolo Bardelli è infatti della mia provincia, uno che parla la mia lingua insomma.
Ma veniamo al libro. L'anno del titolo è emblematico, una panoramica della musica all'inizio del nuovo decennio. Una carrellata di album, di scene musicali, di film, videoclip (tanti) e di avvenimenti di quell'anno.
A volte la narrazione è molto scorrevole e dettagliata (quando racconta la scena di Madchester), altre volte sembra più didascalica e nozionistica (lo stesso autore ammette di scrivere di metal estremo senza esserne un grande conoscitore). Il libro è per forza di cose uno sgauardo al passato (sono tante le considerazioni a posteriori che vengono fatte), un modo per raccontare quello che è stato a chi non c'era; o forse un modo per riascoltare gli album di quell'anno, quando l'autore aveva 17 anni.
La componente nostalgica per fortuna non prende quasi mai il sopravvento, e quando lo fa l'autore lo riconosce e lo anticipa.
L'intento dell'autore è catapultare il lettore in quell'anno, fargli scoprire (o riscoprire) l'aria che respirava al tempo un diciassettenne con la musica sempre intorno.
L'ultima parte del libro invece è dedicata a tre dischi che l'autore ritiene i fondamentali dell'anno: Out of time, Achtung Baby e Nevermind.
Per me, che nel 1991 ci sono nato, una piacevole lettura. Una scorpacciata di aneddoti, alcuni risaputi, altri più curiosi (tra cui uno sugli Anthrax a Viadana che mi ha diverito parecchio) e gli stimoli giusti per interpretare un periodo del recente passato.
Insomma poteva andarmi molto peggio, considerando che il libro affianco sullo scaffale della piccola biblioteca, era su Tiziano Ferro...
Carico i commenti... con calma