"Fai l'amore dentro di me, così che possa usarti..."

Cosa faremo adesso, Paolo, noi che veniamo dallo Spazio Profondo? Cosa vogliamo? Raffinatezza che tocca la pelle solo per farla rabbrividire di Nuova Innocenza, oppure no, meglio carne e sangue? Meglio il colore e il dolore dello strappo che emoziona, che sbrana, lasciando intravedere la vita che acceca, gridando in un parcheggio senza ombre, o preferiremo poi la sensazione della pulizia, più facile e più opportuna di una camera preparata per il prossimo cliente? Cosa canteremo nelle nostre stanze d'albergo inquadrate da camere sfocate e da carte di credito smarrite in reception? Dove andremo Paolo, e dove siamo stati, se siamo stati, qui, prima di partire? Sceglieremo un Hotel asettico per toglierci di dosso lo sporco, la brutalità di quella che, a ragione, non è la parte migliore di noi, la nostra condizione sociale, di classe? Per quel vestito che abbiamo indossato senza convinzione ad un convegno di maschere brillanti, canteremo un Nuovosonettomaoista, Paolo? Immagineremo di salire in alto, di mantenere un punto di vista lontano e in equilibrio, da una qualsiasi Avenida Silencio, per aspettare il nostro turno, in cerca di una saggezza che sfiorisce, che piega ogni singolo petalo di convinzione e la distrugge in un mare di parole straniere ai nostri occhi, incomprese? Paolo, avremo la pazienza di aspettare in ascensore il piano successivo dove troveremo finestre ricoperte di fiori che avevamo seccato e lasciato in un vaso, per chi sarebbe poi venuto a cercarci, e non l’ha fatto? Il nostro biglietto reca la scritta “Life”, lasciata distrattamente sotto la porta, accanto alla parete gialla, e non c’è tempo per dire “Addio, addio siete troppo lontani?” in un giorno qualunque. Dove si nasconderà Stefan Zweig per sfuggire all’incendio mentre sottile la vita lo cerca, e lui si smarrisce? Andremo a vedere dove è andato a morire, osteggiato da tutti, per sempre ignorato nelle stanze anonime di questo Hotel. Che ne faremo Paolo di queste parole cadute dalle macchine da scrivere in un tepore velenoso, questa notte? E Lei Paolo, che cercavamo di tenere tra le dita, credendo di avere ben salde quelle ossa, una fiamma ossidrica che sembrava energia perenne e rivoluzionaria, un amore infinito in barattolo in cui invece vedremo incisa prima o poi una evidente data di scadenza? Che faremo di Lei Paolo, prima di sentirci divisi, o Divisionisti? Resterà la dolce follia, privi di senso e di senno, come Orlando, a vagare tra i campi a inventare l’inesistente nei gesti della quotidianità? E ci piacerà, forse, sentirsi amati anche da forze invisibili, dai legami che cercheremo per sempre, Paolo, finché avremo fiato? La nostra Piccola Pornografia Urbana, Paolo, che chiameremo amore: ripetuta violenza sulla nostra carne che non si sazierà mai, che morirà in un desiderio illusoriamente corrisposto fino a diventare nulla? Come farà il cantautore delle dissonanze, a gridare ninnenanne in grado di tenerci svegli, come “Hannah” che invece dorme, gode della beatitudine, e non conosce paure? Sul tetto di questo Hotel, Paolo, cercheremo risposte chiare, o ci basteranno Sguardi Sempiterni e Primati? Perché saremo pazzi, come il figlio di un Nessuno che sa dove abbiamo nascosto tutte le chiavi, di tutte le stanze sotto di noi? Noi che siamo in cima al mondo, Paolo, su terrazzi di noia e a volte di esaltazione improvvisa, con un solo sguardo, un solo squarcio di comprensione del tutto, per poi soffiare sulle ali bruciate, troppo tardi da un cielo da cui si può solo intravedere e precipitare. “Eppure è tutto vero, anche se non c’è niente. Eppure è tutto vero”

E’ così, Paolo? E’ questo?

Lo smarrimento in un attimo di silenzio e poi la gioia di un disco sublime che si riavvia nel lettore.

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