Obbiettivamente, di scrittori di racconti ne esistono molti. Troppi.
Tutti presi a descrivere epifanie e catarsi, e convinti di svelarci l'arcano.
Di quelli bravi, di scrittori di racconti bravi, che sanno rinnovarsi e farci calare nelle vite altrui, invece ce ne sono pochi. Paolo Cognetti è uno di questi.

Vuole la leggenda che Cognetti abbia deciso di diventare scrittore nel '92, in un cinema parrocchiale, dopo aver visto "L'Attimo Fuggente".
Cinque anni dopo è arrivato Carver e con lui la scoperta della narrativa americana. Nel duemilaquattro c'è stato il suo esordio nella raccolta di giovani penne "La Qualità Dell'Aria" per Minimum Fax.
Ha in seguito pubblicato: "Manuale Per Ragazze Di Successo", "Una Cosa Piccola Che Sta Per Esplodere" e recentemente "New York E' Una Finestra Senza Tende" (Laterza).

Ora che ho fatto questo elenco un po' sterile sui suoi personali traguardi, si sa che devo chiudere l'introduzione. Tipo il nodo di un fiocco, dopo tre o quattro giri di nastro.
E il punto è che nonostante la mia concatenazione di date lo faccia apparire piatto e privo di interesse (proprio come quando sul libro di italiano delle superiori leggevamo nella biografia di Flaubert che "La sua vita trascorse senza eventi rilevanti" e sappiamo che in realtà non andò così), ecco un buon modo per dimostrare il contrario: leggendo come la pensa riguardo a libri e scrittura.


-Presentati, quanti anni hai, dove vivi e di cosa ti occupi in questo periodo.

Ho trentadue anni. In questo periodo vivo in montagna, ma con l'inverno tornerò a Milano. Sono sempre stato diviso tra due posti e due lavori: scrivendo, e avendo un rapporto sofferto con la scrittura, ho bisogno di fare qualcos'altro per mantenermi in forma, nel corpo e nello spirito. E visto che la scrittura è solitudine e immobilità, spesso il qualcos'altro è compagnia e movimento. Negli ultimi dieci anni ho girato documentari, insegnato ai corsi di scrittura, lavorato in un'osteria che è anche un circolo culturale. Ora comincerò a fare il cuoco in un piccolo ristorante.
 
- Quali autori senti che ti hanno influenzato maggiormente? Quali ammiri, e perchè?

Gli scrittori americani di racconti. I racconti sono la mia forma, non so spiegarne fino in fondo il motivo: ha a che fare con il controllo che puoi esercitare sulla storia, con la possibilità di prendere un modello e lavorarci su, sperimentare soluzioni nuove e allo stesso tempo provare a costruire un meccanismo perfetto. Gli americani nel racconto sono maestri, o almeno lo erano una volta. Credo sia perché nella loro tradizione il talento di raccontare storie viene prima della funzione intellettuale che in Europa assegniamo a uno scrittore. Io sono legato a questa visione della narrativa. Primo, raccontare una storia. Amo diversi scrittori, ma i miei maestri sono Ernest Hemingway, J.D. Salinger, Raymond Carver, Alice Munro: so a memoria molti racconti di questi autori.

-Salinger, qual è la sua opera che apprezzi di più? Che cosa ti ha conquistato di questo autore, qual è secondo te il suo punto di forza?

È molto difficile scegliere tra i Nove racconti e Il giovane Holden. Tra i primi, "Un giorno perfetto per i pescibanana" e "Per Esmé: con amore e squallore" stanno lì, ogni volta che appoggio la penna sul foglio, come modelli assoluti di perfezione, li ho studiati e copiati proprio come un giovane pittore fa con Caravaggio. Mandano all'aria la linearità del racconto classico, saltano nel tempo e nello spazio, hanno dialoghi più cinematografici che letterari e sembrano scritti stamattina, invece sono degli anni Quaranta. Però mi danno anche una sensazione impressionante di razionalità, tantissimo mestiere usato per arginare pulsioni molto forti, come la follia di un reduce di guerra. Il giovane Holden, forse perché è un romanzo, ogni tanto sfugge al controllo. E mi piace moltissimo quando uno scrittore come Salinger si lascia andare. È un libro immortale per la voce narrante, la voce nevrotica e indimenticabile di Holden Caulfield. Lui è uno di quei personaggi che uso con gli sconosciuti: se non ti piace Holden è difficile che diventeremo amici.

-Quando ti appresti a realizzare un racconto, che percorso segui? Quali obbiettivi ti poni, che cosa deve "esserci" perchè un racconto possa funzionare?

Per me ci dev'essere un personaggio forte. Provo una specie di innamoramento per il protagonista della mia storia, passo molto tempo a costruirlo, a vivere nel suo mondo. Dentro di lui c'è spesso qualcuno a cui voglio molto bene. E scrivere per me è anche un modo di pensare a quella persona, anzi direi che è un modo per amarla, per esprimere il mio amore per lei. Dunque comincio da qui: da dove viene, che cosa fa, come vive, senza pormi il problema della trama. Di solito è un personaggio infelice, altrimenti perché raccontarlo? E a un certo punto ne incontra un altro che gli mostra un altrove, una felicità possibile. Come Alice con il Bianconiglio. Qui comincia la storia: da un rapporto tra due persone. Una bambina orfana incontra una vecchia maestra senza figli; una ragazza che si sente prigioniera ne incontra una che le sembra libera. Ma per arrivare a vederla così ci metto molto tempo, il processo non è per niente semplice. Tutto il lavoro iniziale è una specie di accerchiamento intorno al personaggio, prima di metterlo a fuoco e capire dove vuole andare.

-In "Una Cosa Piccola Che Sta Per Esplodere" hai rappresentato storie con per protagonisti adolescenti. Ma non pensi che, nei media e da parte anche di altri tuoi colleghi, non esista già un eccessivo interessamento dell'età adolescenziale? In particolare in un paese dove il tasso di natalità è molto basso e le fasce demografiche più numerose appartengono ai nati durante il boom economico.

E chi se ne frega? Scusa la brutalità della risposta, ma io scrivo di quello che mi preme. Non mi sento all'interno di un sistema di media e non sono il collega di nessuno. Credo che ogni scrittore sia solo come un cane, alle prese con un foglio di carta e i propri demoni. Se sta dialogando con qualcuno, forse lo fa con i suoi maestri, e magari è gente morta cinquant'anni prima.
 
-Quale è l'ultimo libro che hai letto?

L'ultimo libro bello che ho letto è "Accabadora" di Michela Murgia: un romanzo di una scrittrice sarda, strano per uno che ama i racconti americani, vero? Ma sono aperto alle scoperte, e poi questa storia ha tante cose in comune con quelle che piacciono a me.

- Il Time ha dedicato la copertina a Jonathan Franzen, che ne pensi di questo autore e dell'hype che gli si è creato attorno?

Non ho mai letto niente di Franzen. Non so nemmeno cosa sia l'hype, ti chiedo scusa. Però posso dirti che mi lascia indifferente il mito del Grande Romanzo Americano, un sacro Graal di cui, se ho ben capito, anche Franzen è alla ricerca. Temo che buona parte della narrativa americana sia diventata ultra-letteraria. Vuol dire lo scopo non è più quello di raccontare ma di fare letteratura, usando il romanzo per dare una rappresentazione del paese, del nostro tempo, della mente dell'uomo contemporaneo e del mondo. Oggi uno scrittore americano di punta, quarantacinquenne, possibilmente bianco e newyorkese, deve scrivere tanto, e scrivere difficile, per essere preso sul serio. Mi sembra un senso di inferiorità che gli scrittori americani hanno verso l'Ottocento europeo, un bisogno di trovare il proprio Flaubert o il proprio Dostoevskij. Per me (ma non l'ho detto io, l'ha detto Robert Altman) il Grande Romanzo Americano l'ha scritto Carver, con i suoi racconti di quindici pagine. L'ha scritto Bruce Springsteen con le sue canzoni da quattro minuti. Non è un gran bel periodo per il racconto in America, spero che passi.
 
-A cosa stai lavorando attualmente?

Alla mia terza raccolta, che spero sarà finita nel 2011. Sono racconti sui pirati, così non dici che seguo le mode! E poi sto traducendo delle poesie di Grace Paley che usciranno l'anno prossimo. E poi sto curando un libro di interviste alle scrittrici italiane. E poi, senza che ci fosse dietro alcun progetto, negli ultimi sei mesi ho scritto diversi pezzi sulla montagna, e a questo punto mi sta venendo voglia di farne qualcosa, anche se ancora non so cosa. E poi ci sono i personaggi della quarta raccolta, che cominciano a prendere forma nella mia testa, ma devo resistere e metterli via almeno per un anno, e poi mi dedicherò a loro. Insomma, per fortuna la pagina bianca non è un mio problema.

-Il quarto libro conterrà storie di pirati. Perchè ti sei indirizzato verso questi personaggi?

È una storia lunga. Ha a che fare con una passione letteraria (Defoe e Stevenson e tutta la letteratura marinaresca) e una passione politica (il pensiero anarchico che trova, romanticamente, nella nave pirata uno dei suoi modelli). È bello quando la scrittura unisce pezzi della tua vita che sembravano così lontani. Ma nel libro in realtà non c'è nemmeno un pirata, soltanto un sacco di pappagalli e gambe di legno e bandiere nere.

 

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