Malinconica nostalgia
Ha indicato le stelle del jazz, passeggiato sotto la pioggia, cantato la bellezza di Genova, disegnato baci e sorrisi, omaggiato Parigi, gettato un pianoforte a coda in alto mare, colorato la musica di azzurro ed inseguito su "un naso triste come una salita" le fughe di Gino Bartali. Poi ha girato il mondo e raccontato la sua musica a migliaia di persone incantate.
Oggi potrebbe anche essere stanco, ma cosí non è. Paolo Conte ha ancora voglia di fantasticare e raccontarci le sue storie, mostrandoci la sua passione per "una musica di ruggine", che sa di penombra, lontananza e nostalgia. Per farlo oggi ci regala un disco di canzoni inedite con un bellissimo titolo: Elegia.
Erano tanti anni che non incideva nuove canzoni. Il suo ultimo lavoro in studio – Una faccia in prestito – risale, infatti, al 1995. Questo perché non è sua abitudine sfornare un disco all'anno: scrive, canta e incide quando gli va di farlo. Tuttavia, in questo lasso di tempo il nostro non si è certo risparmiato. Oltre l'attività concertistica, ha reinciso una serie di suoi classici per la Nonesuch records (Reveries – 2004) e giocato con il musical (Razmataz – 2000), continuando anche a sviluppare il suo interesse per la pittura. Ma un nuovo disco è sempre un'altra cosa. In molti aspettavano "Elegia" e secondo me non tradisce le attese.
È un bel lavoro, forse non uno dei migliori, perché evidenzia una transizione artistica del cantautore astigiano. Mostra, difatti, un Paolo Conte un po' diverso da quello piú amato e conosciuto. Diverso, ma non meno affascinante ed elegante.
C'è meno jazz, il suo pianoforte è piú misurato e melodico, lasciando meno spazio alla ritmica. Nella musica si respira piú malinconia, introspezione e nostalgia che in passato e dire che la sua storia era già molto ricca di questi registri espressivi. In particolare, Conte con questo disco intende rievocare l'Italia del dopoguerra, che avverte piú sincera di quella attuale, ma allo stesso tempo lontanissima.
I temi delle canzoni non tradiscono la tradizione: c'è il tango, tramonti, immagini fumose, il cinema, l'esotismo, la sua leggera ironia ed anche un fondo di amarezza. Piú un'autocitazione ne "La nostalgia del Mocambo".
Forse la caratteristica principale del disco è che non può essere ascoltato distrattamente in sottofondo. Richiede attenzione, altrimenti si corre il rischio di non comprenderlo e rimanerne delusi. Bisogna cercare di assaporare lentamente le storie che Conte dipinge con la musica. Non ha senso ascoltare la musica senza concentrarsi sulle parole. Bisogna avere la pazienza di lasciar sedimentare le atmosfere e i sentimenti che evoca.
Cosí pian piano ci si renderà conto che questa musica è fatta per momenti importanti e intensi. Quelli che vogliamo dedicare a noi stessi, ai nostri pensieri, quando abbiamo desiderio solo di sognare e ricordare.
Chi ha fretta non perda tempo.
Carico i commenti... con calma