Nel 1988 Paolo Conte pubblica il suo secondo album live, dopo l'ottim(issim)o "Concerti" del 1985: i brani contenuti in questo disco sono quasi tutti tratti da un concerto tenuto dall'artista presso lo Spectrum a Montréal , in Canada, il 30/04/1988, tranne "Messico e nuvole", tratto invece da un concerto a Bologna del 1984 presso l'Osteria delle Dame. Eh sì, all'epoca Conte era molto più famoso all'estero che in Italia, ed è stato così per molti anni. Oggi è famoso tanto in Italia quanto all'estero (per fortuna, dico io). La band che lo accompagna in questa avventura musicale è di prim'ordine: Barbieri, Marangolo, Volpe, Turone, Allione, Boccalini, Capurro, Crocco, Lepratto, Marchelli, Pelissier. La stessa spesso si diverte a variare le versioni da studio dei brani, con risultati quasi sempre godibilissimi.
Ci imbattiamo subito nella voce inconfondibile del Nostro, paragonato a Tom Waits e Randy Newman nientepopodimenoché dal "New York Times": roca, fumosa, cavernosa tanto da sembrare uscita da qualche anfratto roccioso, stridula, sghemba, frutto di migliaia di sigarette fumate e probabilmente anche di migliaia di whisky trangugiati, eppure nonostante tutto ciò (o forse proprio a causa di tutto ciò), ipnotica ed adattissima ai pezzi da lui interpretati. Quando penso all' "ascoltatore tipo" di Paolo Conte, mi viene subito in mente un fumatore incallito seduto ad un tavolo di un locale "fumoso" quanto e più di lui, avvolto dalla nebbia del fumo sprigionato da mille sigarette di suoi consimili, che fuma una sigaretta dopo l'altra e beve un whisky dopo l'altro, tirando tardi e invitando qualcuna, prima o poi, ad un ballo sensuale e languido. Ma, al giorno d'oggi e con le leggi attuali, non penso esistano più locali di questo tipo.
Questo live è un pò troppo "Aguaplanocentrico": ben 5 pezzi su 13, infatti, sono tratti dall'album (doppio) "Aguaplano", pubblicato giusto l'anno prima. Si tratta comunque sempre di un bel sentire: un pianoforte a coda lunga lanciato in alto mare (Aguaplano); una negra che ti cerca in questa giostra pigra (La negra); un invito al proprio chitarrista "storico" Jimmy Villotti a consumare insieme a lui un pranzo da pascià a questo punto della loro vita, con annesso invito a ballare "da lontano" a due donne, salvo scoprire che erano due cinesi una volta avvicinatesi, ma "la miopia è così, è così, è così" (Jimmy, ballando); un invito a cena ad una donna per poi chiederle, alla fine della stessa, "scusa paga tu: non ho una lira, questa è la realtà, non si guadagna con le note blu" (Blu notte); la facilità di Max che non semplifica affatto (Max).
Per contro sono presenti tre chicche, ossia canzoni scritte da Conte per altri e mai interpretate da lui fino a quel momento: "Messico e nuvole", incisa da Enzo Jannacci nel 1970, semplicemente magnifica nonostante la sostituzione, nel titolo, della più esotica "Mexico" con la più nostrana "Messico"; "Vamp", scritta per Gabriella Ferri e da lei interpretata nel 1981, bellissima, divertentissima e vivacissima ("Non era America chissà, non era Africa chissà, la vecchia via del Varietà"); "Don't break my heart", scritta per Mia Martini e da lei registrata nel 1985 ma con testo in italiano e con il titolo "Spaccami il cuore", mentre qui è presente un testo diverso ed in lingua inglese, invero per me abbastanza soporifera, nonostante in seguito sia stata ripresa da Miriam Makeba e Dizzie Gillespie nel loro "Eyes tomorrow" del 1991.
Essendo un disco di Paolo Conte e per di più live, dove spesso dà il meglio di sé, anche in questo non poteva mancare la caratteristica, comune a lui ed a pochissimi altri, di trasportarti e farti viaggiare con la mente, anche se magari seduto comodamente sul divano di casa, in Africa, Sudamerica, in isole sperdute ed anche in epoche passate. E tutto ciò grazie ai suoi testi e, soprattutto, alla sua musica, spesso impregnata di atmosfere rarefatte e d'altri tempi, con l'accompagnamento quasi costante di un pianoforte suonato magistralmente. E non poteva essere altrimenti: "E dove c'è un piano intorno c'è sempre gente che fa baccano, ci sono occhi che si cercano, ci sono labbra che si guardano. Non mi fido, in certi casi un pianoforte è un grido: ci sono gambe che si sfiorano e tentazioni che si parlano".
P.S.: sarà per la troppa "Aguaplanocentricità", sarà per l'assenza di "Via con me" (ed un live di Paolo Conte senza "Via con me" non è un vero live!), sarà (soprattutto) per il confronto col precedente "Concerti" ma anche con suoi live successivi, la mente mi dice di appioppare quattro stelle a questo lavoro. Ma il cuore continua a gridare: "Cinque stelle". Ed al cuore non si comanda, mai!
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