Verso metà Agosto avrà luogo a Berchidda (SS) il Festival Internazionale «"Time In Jazz"». Quest’anno il Festival vedrà la presenza di musicisti come Uri caine, Sax Four Fun & Tiger Dixie Band, Maria Pia De Vito Claudio Astronio, Carlo Actis Dato Quartet, Omar Sosa Quintet, Piccola Vienna Art Orchestra, Ivo Papasov, Michel Portal Quartet, Richard Galliano.
Vista l’importanza e la peculiarità della manifestazione, giunta alla sua diciassettesima edizione, ho pensato di fare qualche domanda in merito al suo direttore artistico, il celebre musicista jazz Paolo Fresu, il quale, fra i suoi mille impegni, ha trovato il tempo per rispondermi.
1. Ciao Paolo, prima di tutto dove ti trovi in questo momento e cosa stai facendo in questo periodo?
Mentre ti scrivo sono di ritorno dal Festival di Montréal dove ho tenuto due concerti. Uno in trio con il tunisino Dhafer Youssef ed il norvegese Eivind Aarset ed un altro con i trombettisti Jon Hassell ed Erik Truffaz in seno ad una produzione originale fortemente voluta da festival. Naturalmente da adesso in poi ho concerti pressoché sempre ed un po’ dappertutto con le mie diverse formazioni (il trio “Paf”, il nuovo quartetto “Devil”, il mio Quintetto italiano che quest’anno festeggia i suoi vent’anni di vita comune, il progetto con il quartetto d'archi “Alborada”, in duo o in trio con Youssef e Aarset più alcuni concerti diversi ad esempio con Stefano Benni o Marco Paolini sulle Dolomiti) e sono alle prese con le musiche di un film diretto da Valia Santella e prodotto dalla Sacher di Nanni Moretti. E poi mi preparo per le fatiche del Festival di Berchidda prima e dei Seminari jazz di Nuoro dopo.
2. Ho letto che non condividi l’opinione che il jazz stia morendo o sia in crisi. Ma secondo te cosa è oggi il jazz e in che direzioni si sta muovendo?
Premesso che il termine "Jazz" forse non esiste più, in quanto non può definire e contenere tutti i generi che questa musica abbraccia, penso che il jazz sia comunque quella capacità d’improvvisazione e di estemporaneità che lo rende diverso da altre musiche di oggi. Ma il jazz nonostante tutto è anche lo swing che è quella capacità di respirare la musica in un determinato modo. Capacità di respirarla e quindi di viverla. Ecco, credo che il jazz sia in qualche modo una filosofia musicale e non solo, che può accomunare alcuni stili ed alcuni musicisti. Partendo da questo penso che il jazz si stia muovendo in direzioni molto diverse e che continui a rappresentare bene le tendenze del mondo moderno. Come ho detto sto ritornando dal Festival di Montréal, che è il più grande evento del Nord America con una qualità di gente impressionante e circa 600 concerti. Che il jazz non è morto lo dimostra non solo la grande creatività e dinamicità degli artisti, ma anche l'attenzione sempre più evidente che il pubblico, soprattutto in Europa, riserva a questa musica.
3. Fra poco più di un mese si svolgerà a Berchidda il Festival Internazionale “Time in Jazz”, di cui sei direttore artistico. Puoi raccontarci come è nata l’idea di questa manifestazione, giunta alla sua diciassettesima edizione, e le sue caratteristiche principali?
“Time in jazz” è un festival all'insegna della tradizione, ma anche dell'inventività e della progettualità contemporanea che ama dare spazio ad artisti, musicisti e tendenze originali e creative. Una vocazione che trova le sue migliori incarnazioni in produzioni pensate e realizzate ad hoc, spesso basate sul confronto e l’incrocio fra linguaggi artistici differenti: jazz e arte visiva, jazz e danza, jazz e cinema, jazz e musica etnica, jazz e musica colta o antica e contemporanea, jazz e poesia. Un tema dominante a dare senso a tutto il festival che è dedicato più che mai al Jazz inteso sia come espressione classica che come sperimentazione ed incontri non solo con altri linguaggi d’arte, ma con tante altre forme di musica. Quando la manifestazione è nata nell'ormai lontano 1988 il mio intento era quello di portare e di fare conoscere a Berchidda e in tutta la zona quella musica che io suonavo e che era apparentemente lontana dalla nostra cultura. Questo cercando di trovare una relazione precisa con il territorio ed anche con la nostra cultura musicale. Ma anche un festival in cui la musica diventasse un pretesto per comunicare e per riflettere e dunque non fine a sé stessa. “Time in jazz” è, in effetti, un contenitore d'arte ed un incredibile strumento di scambio tra lingue d'arte ed idiomi del mondo. Uno strumento straordinario dove le persone di tutte le età e di tutte le estrazioni possono commuoversi con la musica e/o parlando un esperanto improbabile fatto di incontri e di sensazioni emotive. In tutto questo la musica è l'aspetto principale, ma ogni cosa ha il suo ruolo ed il suo valore.
4. Il tema di questa edizione di Time in jazz è la follia. Perché questa scelta?
Perché “Time in jazz” ha per appunto un Tema ogni anno e questo tema è uno stimolo per muoverci in direzioni nuove e diverse. Spesso i temi sono molto aperti e spesso, come è stato in questi ultimi anni, il tema musicale diventa un pretesto per muoverci a 360° come ad esempio con i temi "Sogno di Orfeo" del 2001 e "Quadri di un’esposizione del 2002": la favola di Orfeo cantore e ammaliatore si sposava con la celebre "Introduzione per cinque trombe" dell’Orfeo Monteverdiano, primo passo musicale verso il suono/linfa/immaginazione della tromba, mentre il compositore russo Modest Mussorgskij prendeva spunto dall’opera pittorica di Hartmann e la sua altrettanto celebre composizione diveniva pretesto per portare l’arte visiva sul palcoscenico assieme alla musica. Sono il gioco e la sfida, dunque, ancora una volta, a fare da filo conduttore all’interno di tutta la programmazione di “Time in jazz”. Questo gioco sottile tra realtà e finzione che è alla base dell’arte e della sua spettacolarità. In particolare il tema della Follia nasce dalla Follia barocca e questa diventa lo spunto per indagare non solo nel mondo della variazione musicale, che è tipica del jazz e della musica antica, ma anche nella follia del genio e della creatività dell'arte.
5. La presenza di artisti come Uri Caine, Dave Douglas, Michel Portal, Richard Galliano, tanto per citarne alcuni, è un elemento di interesse per l’iniziativa, ma la sua originalità è insita anche nelle sue modalità di svolgimento (concerti diurni, a volte in luoghi affascinanti e inusuali come una stazione ferroviaria o una chiesa campestre ecc.). Gli artisti che partecipano a Time in Jazz come vivono solitamente la peculiarità della manifestazione?
Gli artisti in genere amano molto il festival perché lo vedono diverso rispetto a tante altre manifestazioni. Questo principalmente perché "Time in jazz" si svolge in un piccolo paese (Berchidda ha 3500 abitanti n.d.r) e perché la dimensione del piccolo luogo, anche se con una valenza internazionale durante il periodo della manifestazione, crea un’umanità ed un rispetto verso la musica e verso gli artisti che li fa stare bene e che di conseguenza fa stare bene il pubblico. E' uno scambio vero che gratifica tutti e che fa sentire ognuno protagonista. In più ci sono i concerti acustici nei piccoli luoghi - nelle chiese campestri piuttosto che in mezzo ai boschi o per le strade - che pongono l'artista in una nuova condizione creativa estremamente stimolante. Ho visto artisti agitarsi enormemente ed altri piangere. C'è una energia straordinaria che fa di ogni evento un evento altrettanto straordinario.
6. Come sai De-Baser è un sito dove gli appassionati di musica possono scambiarsi le loro opinioni sui dischi. Per chiudere questa breve intervista vuoi lasciarci con il titolo di un disco che ami in modo particolare e che ti senti di consigliarci?
Beh, premesso che sarebbero tanti il primo che mi viene in testa adesso è "Fascinoma" di Jon Hassell. Un raro esempio di equilibrio tra ricerca del suono e dello spazio e culto della melodia e del silenzio. Giusto perché ieri suonavamo assieme... giusto perché per me è uno dei dischi più belli degli ultimi anni...
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