Cos'è diventato il jazz, oggi? Sì, perché, alla fin fine, è di questo che stiamo parlando, più che della piacevolezza di un singolo disco.

Enrico Rava, la cui onestà non si può mettere in dubbio sin dal giorno in cui (all'apice del periodo "free") si trovò in mezzo a un gregge per un concerto per "pecore e tromba", rendendosi conto che si stava cominciando a fare cazzate, ha oggi denunciato la stasi, l'immobilità, se non l'inizio dello scollinamento del jazz.

Di fondo, il discorso è quello fatto centinaia di volte, tra amici a cena, sui blog e sui siti specializzati... e penso sia così riassumibile e semplificabile: se ogni cosa dello scibile (noi compresi) ha un inizio, uno sviluppo ed una fine, perché i generi musicali non dovrebbero subire lo stesso destino?

Di solito il discorso lo facciamo sulla musica (cosiddetta) leggera, che è quella che -più d'ogni altra- vive pompata dal mercato, mercato che oggi stenta a tirare avanti pure lui, massacrato dal download, dalla stanchezza e dal disinteresse. Sul jazz il discorso è simile e diverso. È, potremmo dire, una via di mezzo tra quanto accade alla (cosiddetta) leggera e quel che succede al Blues, supremo dio di perenne immobilità.

Si sa: il jazz è contaminazione, ma se proprio un babbo dobbiamo trovargli, quello è indubitabilmente il Blues. Ed è il Blues che si "muove" immobile da sempre, da quando ancora non lo registravano, a quando hanno cominciato a registrarlo, fino ai giorni nostri.

Il Jazz ha avuto una nascita spuria, bellissima, americanissima, irripetibile. È figlio di molte mamme e di molti papà, di una società la più viva e vivace.

Ha avuto uno sviluppo grandioso, altissimo. Ha toccato vertici irraggiungibili (pensiamo a Duke, pensiamo a Miles, a Trane...). È arrivato talmente in alto che non poteva che scendere. Con stile, lentezza, bello cadenzato e raffinato come solo Lui sa essere, ma scendere.

Si può scollinare bene: il viso disfatto di Faber, le rughe di Cohen, lo sguardo dell'ultimo Fellini lo dimostrano benissimo. E oggi il Jazz sta scendendo, non dal trono (che non lascerà mai, che si è conquistato sul campo e sarà sempre suo), ma sta camminando bene, in un pendio solo lievemente in discesa, ed il suo camminare è sempre bellissimo da vedere.

Ed è qui che arriviamo a questo disco di Fresu, talmente bello e talmente privo di alcunché di nuovo, che può persino farti pensare che il Jazz, femminilizzato (o è sempre stato donna?) si sia ormai seduto sul divano degli dèi di fianco al Babbo Blues.

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