Il cinema italiano sta vivendo un buonissimo periodo. Mia madre, Il racconto dei racconti, Youth, Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg Robot. Se c'era invece un film su cui ero scettico era proprio il nuovo lavoro di Genovese. Non ho propriamente amato alcuni suoi film precedenti e temevo che questo Perfetti sconosciuti fosse eccessivamente iperbolico nel trattare l'argomento «telefono cellulare cioè scatola nera delle nostre vite».

Fortunatamente mi sbagliavo. La sceneggiatura è stata scritta a dieci mani, senza nessun nome di particolare spicco, credo, ma funziona decisamente bene. L'equilibrio è impeccabile e sorprendente quasi, tra una prima fase maggiormente incentrata sulla commedia e una seconda che tende al dramma. Senza forzature, con cambi di tonalità sempre credibili e mai giocati sull'effetto sorpresa banale. Voglio dire, le sorprese ovviamente ci sono, ma la gestione delle informazioni (dette e non dette) è attentamente levigata e non mira soltanto a stupire lo spettatore. È infatti scontato che emergeranno dei bubboni dal gioco dei cellulari: bisogna allora dialogare in modo intelligente con le aspettative del pubblico. Va riconosciuto agli sceneggiatori che ci sono riusciti appieno.

La costruzione dei personaggi è magnifica; sfrutta ogni istante di girato per dare connotazioni ai protagonisti, che sono tanti, ben sette, ma vengono definiti quel tanto che basta per far funzionare la vicenda. Giustamente, per mantenere un minutaggio agile e costruire un intreccio di rapporti un po' complesso, Genovese si è trovato a dover caricare di informazioni ogni secondo del suo film e a dover necessariamente recidere tutti quei rami che non avevano importanza per lo sviluppo della trama. Questo non significa fare personaggi piatti, questi non lo sono: sono personaggi ritratti con pochi, magistrali schizzi. L'importante è che funzionino per 2 ore scarse di cena. Si può solo elogiare una sceneggiatura così ben fatta.

Impossibile spiegare qualcosa in più della vicenda senza anticipare parti di trama; dico solo che i segreti nascosti negli smartphone sono tutt'altro che iperbolici. Vanno invece a comporre un ritratto disincantato di un'umanità un po' sconfitta in partenza, che può solo confrontarsi e misurare le proprie bassezze. È una gara a chi fa meno schifo umanamente. Ma queste premesse non sono rigide e c'è spazio anche per qualcosa di buono, pur nell'amarezza costante delle ipocrisie, delle menzogne e dei silenzi tra amici e coniugi che sono in realtà perfetti sconosciuti.

Emergono sicuramente dei bei ritratti, sfaccettati e stimolanti. Rocco ed Eva sono probabilmente i due più complessi ed enigmatici, Carlotta e Lele i più isterici, mentre Cosimo e Bianca hanno dei tratti più lineari. Ma gli intrecci relazionali sono davvero ben dipanati e non si limitano di certo ai rapporti amorosi. Al disvelarsi di un segreto, arrivano infatti puntuali le reazioni di tutti gli amici. Insomma, un ordigno della verità destinato a fare disastri. Il tutto funziona particolarmente bene anche per gli attori, decisamente validi. Ho apprezzato molto la Rohrwacher, perfetta nell'incarnare Bianca, dolce e pura. Ma tutti sono convincenti, o per qualità intrinseca o perché assegnati a un ruolo particolarmente adatto a loro.

Il rischio era quello di scadere nella rissa, nel drammone, nel piagnisteo insistito. Invece i toni vengono saggiamente mantenuti sull'acidulo, l'incazzoso anche avvelenato ma senza che diventi aggressione verbale (al netto di veramente pochi passaggi). Predomina uno sguardo disincantato sulla meschinità delle persone da una parte (il discorso finale di Peppe, ma anche la rivelazione su Eva) e sull'ipocrisia quotidiana del nascondere la verità agli altri dall'altra. Il finale in questo senso è perfetto, perché evidenzia il fatto che di tutte le bassezze umane, l'occultamento costante del vero agli occhi dei propri cari è forse la peggiore.

7/10

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