Parliamo d'un'altra Italia.
Ma poi parliamo davvero d'un'altra Italia?
Fatto sta che il film è davvero magistrale, fatto benissimo, semplicemente bello.
Un film che porta a pensare (ipotesi 1) che il cinema italiano non sia del tutto morto, oppure (ipotesi 2) che una rondine non fa primavera. Oggi, in vena di fantasmagorico ottimismo, sull'onda dell'entusiasmo per una visione tanto goduta quanto inaspettata, opterei per la prima ipotesi. Anche se la lettura contemporanea, sui quotidiani, dello stanziamento del fondo pubblico, quale opera culturale, per "Natale A Beverly Hills", ha fatto di tutto per deprimermi. Ma rimango ottimista. Soprattutto per una questione di scuola: questo film ha fatto tesoro della scuola, anzi delle scuole del miglior cinema italiano e non solo, tenendosi lontanissimo da clonazioni o imbarazzanti scimmiottamenti, e limitandosi a far capire che il nostro passato, in quel campo indefinibile, che sa entusiasmare, che è lo "stile", potrebbe aver ancora da dire. E che non tutto pare essere perduto.
E l'apprezzamento per questo film dovrebbe essere estraneo dal giudizio politico sul personaggio Andreotti e sull'Italia della cosiddetta Prima Repubblica.
Perché, detto semplice semplice, quest'opera è fatta bene, e andrebbe riconosciuto anche da chi dovesse sentirti offeso in base ad affinità pomicinsbardellate.
Possiamo vedere la visionarietà eterea di Fellini, lo spaesamento comico e feroce di Moretti, per stare a casa nostra, oppure anche la presentazione dei personaggi scritta e rallentata di Tarantino, che a casa nostra ci sta volentieri come ospite d'ispirazione. Questo per citare solo alcune delle evidenti fonti che, ripeto, non vengono presentate a livello di clonazione, né di scimmiottamento, ma -come accade per i migliori musicisti- come lezione imparata da buon alunno, sicuramente teso a fare lunghi passi con le proprie gambe.
Il personaggio Andreotti è tagliato in maniera caricaturale senza essere banale. Beh, ragioniamoci: anche l'originale era -anche- volontariamente caricaturale, viveva di freddure ed aveva un andamento e una parola lievemente "autistici". Qui però tutto è estremizzato senza essere ridicolo (qui il vero miracolo), e non poco onore va dato al protagonista, davvero mostruoso nell'interpretare -ripetiamolo: senza gigioneggiamenti o acrimonie inutili- il personaggio e la persona Andreotti.
Il contorno è surreale, anch'esso estremizzato e caricaturalizzato senza banalità, drammaticamente simile all'originale, se proviamo (con sforzo non doloroso) a ricordarcelo bene.
Perché, con un'opera esteticamente e tecnicamente perfetta, si può capire molto d'allora e si possono vedere, con allucinante lucidità, dove poggiano i piloni (di cemento ben armato) dell'itagliaccia che è venuta dopo, quella di oggi.
Dunque, godimento assoluto per l'esteriorità impeccabile dell'opera, e doppio godimento (doppia libidine, col fiocco) per chi, come me, oltre alla forma condivide ed apprezza a pieno anche il contenuto.
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