" Muoversi nell' indistinto reiterarsi di un tempo scaduto, ricavando sostanza anche dal vuoto" (V. G.)

Rivedendo il film di Sorrentino alla tv, a poco a poco un’impressione si è fatta lago trai miei pensieri e mi ha portato a rileggere le recensioni già scritte, soprattutto quella di Suonoonous (che in parte condivido) e a produrre qualche ulteriore considerazione in merito.

La visione televisiva oltre a spezzare il film (rendendolo se possibile ancor più statico e insipido) , aggiunge qualcosa di tematico ed esplicativo, ovvero: la pubblicità  … fattore che dona una chiave di lettura definitiva e non affatto residuale alla pellicola.
Tra nuove promozioni di compagnie telefoniche, prodotti alimentari vari e slogan più o meno originali, ad un certo punto, durante una pausa oltre la metà del film, si materializza lo stesso regista partenopeo, il quale a bordo di una 500 sfreccia per le vie di qualche città U.S.A, poi scendendo dalla micro macchinetta “italiana”, lancia un’ intenso sguardo spermatico verso la camera e sotto appare la scritta: “Piccola grande Bellezza italiana” (o qualcosa di simile) … a quel punto la voglia di cambiare canale, di spegnere proprio, di iniziare delle copule a caso, come altresì nuove letture oniriche intramezzate da sedute olistiche, poteva ragionevolmente prendere il sopravvento, ma in quel caso non avrei scritto queste inutili righe e tu non saresti qua a leggerle adesso …
La domanda infatti sorge spontanea, per quale motivo un regista freschissimo di Oscar si è venduto alla pubblicità, usando come arma di scambio quella che non si può negare essere diventata la sua opera + famosa e importante ?!
Per cercare di capire, abbandoniamo il fatto che Sorrentino possa umanamente non risultare esilarante, discostiamoci dalla consapevolezza che i soldi esercitino un potere quasi ineluttabile sulla umana mente, accettiamo pure che alla base dell’arte, quasi sempre, sia compresa la sua mercificazione … ma ancora il quadro non sarebbe completo… bisogna attendere la parte finale, quel trucco scenico che fa sparire la giraffa, abbandonare la città a Verdone, che divide il finale in un doppio scenario: da una parte la scala sacra, dove la monaca stravecchia strisciando lentamente raggiunge la sua estatica beatitudine e dall'altra, la salita dell’isola dove Jep ritrova la “bellezza” del suo passato …
In "absentia" di un cambio di passo, di reali segni d' umanità tangibile, ecco che il nesso quindi si rivela, ed è rappresentato dall’inconcludenza e inconsistenza che avvolge personaggi e situazioni, in superficie e non solo … l’assoluta vacuità delle grandi slide sulla Città Eterna, simil cartolina turistica, propinate come un cavallo di Troia allo spettatore nazional-popolare, quasi a santificare l’età dell’oro nostrana…
Il trompe-l'œil si smorza solo causticamente nei soliloqui, quando il protagonista, il devoto Servillo sempre fedele a se stesso e mantecato con un vestiario in stile Lapo Elkann, cammina nottetempo lungo strade spesso deserte, solo in questi sporadici momenti la sensazione avvertita dal ricevente ricalca la reale consistenza del messaggio.
Il resto è “'Na Grande Presa per culo” come direbbe Venditti (il quale non a caso viene materializzato pure fisicamente sul set), un bel “Frutto Amaro” che il regista regala come commiato professionale al nostro Paese, confezionandolo in maniera estremamente furba e stupendamente beffarda, distribuendo marchette a destra e sinistra ... es. le immagini dei titoli di coda, oppure Serena Grandi fedele alla sua figura di Icona italica decaduta (nella droga), la Ferilli e Verdone romani de Roma, lo sciorinare random di bellezze artistiche oppure quei marchi registrati mostrati con una non calanche molto poco d’autore…
Il film in se è una Grande Marchetta e l’Oscar il suo compenso … la sopracitata comparsata in pubblicità del regista, ribadisce la coerenza di questo intento dissimulato, di questa statica e sprezzante mancanza di spessore, all’interno del quale l’arte e la bellezza sono attuali come le macerie del Colosseo che stanno in fronte al balcone della casa di Jep … è altresì un modo per relegare la pellicola al rango di semplice merce di scambio, di un prodotto commerciale che non può avere le velleità d’autore Felliniane, "Scorzesche" ne tanto meno la levatura di un Herzog, e dal quale il suo creatore sembra volersi subitaneamente distaccare, dopo aver incassato a pieno la posta in palio.
Alla luce di tutto questo, il proliferare di scomodi paragoni o improbabili connessioni spazio tempo (che anche una certa "critica d'essai" ha intrecciato nella secca stroncatura del film), fa sorridere. Definire Sorrentino ingenuo in questa "rappresentazione", è fargli un favore immenso, significa esserci cascati appieno, come anche voler ricercare un qualche "Slancio Prometeico" (già scriverla è brutta questa immagine, figuriamoci pensarla) all'interno di una pellicola volutamente appiattita su se stessa, solo per poi dire che il tutto si risolve in cadute clamorose ... affermazioni e posizioni critico stilistiche che di per se hanno uno sfondo logico semantico più che plausibile, sia ben chiaro... ma che calate nella Grande pianura densamente spopolata di questa "Bellezza", appaiono come un ricercato esercizio onanistico che si nutre di un piacere ovviamente autoreferenziale.  
Sin dal titolo, elevato quanto apocrifo, il film si nutre della propria aridità, ma queste sostanziali mancanze e difetti sono la forza della pellicola, sono l'elemento che lo rende un film terribilmente riuscito, la cifra di questo successo non risiede tanto nei premi ricevuti, quanto nell'eclatante "misunderstanding" arrecato. Ad es i messaggi di congratulazioni, intrisi di orgoglio tricolore arrivati dalle alte sfere dello stato al regista partenopeo, una roba che ricorda i ringraziamenti fatti da Reagan Presidente al Boss per aver scritto "Born in the Usa"... oppure il dibattito nazionale su quale sia la Bellezza che Sorrentino racconta nel film ... x poi arrivare alle stroncature più estreme sull'altare dell'arte cinefila. Un sostrato polisemico scaturito dal nulla, un gol di rapina, una vendetta perfetta diabolicamente orchestrata ... da qua il sorrisetto ammiccante durante lo spot e la faccia di bronzo del regista sul palco degli Oscar con annesse ghignate di Servillo al suo fianco.
Alcuna scissione tra forma e sostanza, perché la meschinità e la superficialità che Il Sorrentino regista irradia a perdita d'occhio tra figure umane e spazi fisici, parte e investe in primis il Sorrentino Feticcio (Jep lo Scrittore), quasi una sorta di ammissione di colpa. Inoltre queste doti non meritano un intreccio che scavi dentro i personaggi o dentro la storia dei loro legami, non meritano nient'altro che uno sfondo sterile e immobile cristallizzato nel tempo, all'interno del quale la ricerca di verità è un mero e semplice stratagemma per ingannare il suo scorrere, restando in superficie, un modo per continuare a rimandare un'evoluzione che non ci sarà e creare soltanto un "Gran bel trucco" ...  illudendo chi al termine indica questa pellicola come un possibile volano per uscire dalla crisi, ma anche coloro che si dichiarano delusi da un tono troppo "basso", non all'altezza della Bellezza Promessa.    

A trarne un senso, parrebbe in se perfetto come assenza.

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