Non si esce vivi dagli anni Ottanta, sembra la sintesi perfetta per la prima opera di Paolo Sorrentino, anno 2001.

Oggi mi torna in mente questo film inesplorato, imperfetto e amaro perché amara è la materia che mostra: le ombre dietro il luccichìo della nostra duplice coscienza popolare, il calcio e la canzone. Ed è un caso che oggi, 15 agosto, sia la data di nascita dei due personaggi del film. Eccoli.
Antonio Pisapia, in arte Tony, nato a Napoli, compirebbe 74 anni, professione: cantante di musica leggera, canzonettaro.
Antonio Pisapia, nato a Narni Scalo, ne farebbe 59, professione: calciatore di serie A, stopper di classe.
Stessa data, stesso nome, parallelo il destino: nel 1980 hanno successo, sono ricchi e famosi. Sfondati. Quattro anni dopo sono messi ai margini, annaspano per non finire nel fango, soli, dimenticati.

Due storie di talenti stritolati dalla yuppista macchina infernale del business e delle opportunità, talenti bollati dagli stereotipi, il calciatore che ha avuto il suo tempo finchè non si è infortunato, il cantante laido e cocainomane che ha messo fine alla sua ascesa, destinandosi, chissà, a farsi archiviare nel trash, tra gli artisti minori, insieme agli splendidi Califano e ai Fred Buongusto, cui il film peraltro sembra ispirarsi. A questo proposito, c'è una scena che vale da sola la medaglia al valore: Tony che canta il brano "La notte", con lo sconforto pungente di un cantante che esibisce la sua voce roca e romantica alla dozzinale platea di una piazza di paese, ricordando certi concerti che abbiamo visto da bambini.

Ma torniamo ai personaggi: sono speculari, uno l'immagine a rovescio dell'altro.
Negli anni in cui si legittima come normale la volgarità, in cui trionfa la voracità sull'etica, Tony, il cantante, è il prodotto di quel tempo e quella cultura, la cavalca e ne incarna il gusto fino al parossismo autodistruttivo. Il suo fallimento nel sistema è un fallimento del sistema. Nel cuore della spregevolezza, un programma televisivo proto-defilippiano tutto verità e lacrime, Tony va a mostrarsi come un tumore di quel mondo, un mucchio di cellule malate, invasate, senza più nulla da perdere, che come tali hanno la capacità di scardinare tutto. Dalla sua bocca divampano parole svincolate dalle piccole necessità della diretta e dei tempi televisivi, che terremotano ciò che lui è e ciò che lo circonda. Questo sisma è Tony, un magistrale Servillo che qui inaugura il suo fedele sodalizio con Sorrentino.
E poi, c'è l'uomo in più, antitetico al primo. Antonio, il calciatore, interpretato da Andrea Renzi, bravissimo, ha il destino segnato di chi non può farcela: troppo serio, troppo timido, troppo idealista, troppo puro, troppo alla ricerca di qualcosa per cui valga la pena vivere, da innamorato: la sua passione, il suo talento, il pallone. L'epilogo amaro, il suicidio, sembra dirci che questo è un mondo che perdona tutto, ma non l'onesta, il rigore morale, il valore spirituale.

Vista a ritroso la filmografia di Sorrentino, Antonio Pisapia, calciatore, è l'unico uomo in più, cristallino, in una rosa di personaggi sgradevoli, opachi, moralmente di frontiera, persino ripugnanti: un cinico, disumano ed esteticamente ributtante pluripresidente del consiglio, uno strozzino gobbo e sudicio che gradisce favori sessuali, un algido impiegato della mafia, eroinomane a ritmi cadenzati, e il nostro Tony, viscido canzonettaro. In questa straordianaria discesa nel sordido, in cui "Il Divo" è il fondo grottesco, "L'uomo in più" ci indica già la legge ferrea del cinema di Sorrentino: se vuoi sottrarti allo schifo devi andare incontro, letteralmente, alle conseguenze dell'amore. In tutti i film i tentativi di redimersi e di sganciarsi dalla maglia fitta delle tenebre hanno un prezzo, a ciascuno il suo, a seconda di quanto ci si allontani dal Male, dalla morte del purissimo calciatore all'emicrania del Divo.
Prezzi da pagare, chè a restare o tornare puliti si perde sempre, ma necessari come ci ricorda la citazione tratta da una poesia di Amiri Baraka, al secolo Leroy Jones, "In Memory of Radio", che apre il primo film e con esso tutta la serie: It is better to haved loved and lost than to put linoleum in your living rooms.

È  meglio aver amato e perso che mettere linoleum nei vostri salotti.

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