E' la solita storia: vai al cinema, troppo pieno di aspettative, ti siedi entusiasta, con in mente i nomi degli esseri umani che hanno prodotto quello che stai per vedere (Sorrentino, cavolo, "Il Divo" è stato un gran bel film, Sean Penn, poi, e che gli vuoi dire?), inizia il film e tu inizi a concentrare l'attenzione solo sulle immagini, sulle scene, su ciò che ti trasmette lo schermo. Ma dopo una mezz'oretta, forse un pò di più, senti che inizia a salire dallo stomaco quella sensazione fastidiosa, quasi incessante, che ti fa capire che non tutto sta andando come speravi. Ti ritrovi quasi a supplicare che le cose cambino prima o poi, che tutto quello che vedi si trasformi in qualcosa di migliore, perchè cavolo, alla fine hai di fronte una produzione mica da cine-panettone...ma le cose non cambiano.
Sorrentino dirige una storia banale, vista e rivista; un viaggio alla ricerca di se stessi, e lo fa anche male, con una regia piatta, che non decolla mai, un pò noiosa, a tratti insicura. Sean Penn si trasforma una rock-star in declino, Cheyenne, oppresso dal suo passato ma che ancora va in giro come se fosse un ibrido fra la brutta copia di Robert Smith dei Cure e Marilyn Manson. Il solito emarginato che si sente tale ma vuole reagire. E lo fa dando la caccia all'aguzzino nazista che ha maltrattato suo padre nel campo di concentramento di Auschwitz, una trovata della sceneggiatura francamente ridicola e che nulla aggiunge alla piattezza della storia (le immagini dei cadaveri ammassati di Auschwitz strizzano gli occhi a un sensazionalismo da terza elementare). Nel bel mezzo di tale caccia, come se non bastasse, si attorcigliano fra loro storie su storie, pezzi di vita che la rock-star incontra lungo il cammino, rendendo confuso e inconcludente un film che già era partito male.
Non si avverte mancanza di alta recitazione, Sean Penn se la cava alla grande, anche se a volte da l'effetto di un monocorde (meravigliosa la sua risatina a metà fra l'ironico e il grottesco) e riesce a non mettere nell'ombra chi gli fa da spalla (il bambino ciccione che canta "This Must Be The Place" dei Talking Heads è una rivelazione, forse la migliore scena di tutto il film), ma gli attori non riescono a salvare una sceneggiatura che nelle intenzioni aveva possibilità di farsi apprezzare e nella pratica ha ridotto tutto a un calderone di elementi confusi e mai approfonditi.
Il cameo di David Byrne, autore della colonna sonora, praticamente inutile, è quasi fastidioso, al pari di un finale scontato che trasforma la parabola esistenziale del protagonista in un inno alla vendetta. E quindi te ne esci dal cinema sospirando deluso, con in mente solo il rossetto rosso fuoco di Chayenne e le sue orribili Dr. Martens ai piedi.
Carico i commenti... con calma