Alle radici di un intero modo di concepire uno stile di far Metal.
Questo sarebbe l'ipotetico titolo di un altrettanto ipotetico saggio su questo disco.

Già perché troppe volte ci si dimentica di dischi come questo. Eppure la loro importanza per il loro genere è pari ad altri ben più blasonati.
Prima che migliaia di pseudo-band dalle qualità dubbie iniziassero ad infettare il mercato discografico con i loro dischi basati sul solito brodino riscaldato di facile assimilazione (melodie tristi e velate di dark, voce femminile fino alla nausea) c'era solo un oscuro movimento che darà poi i natali a band molto meno degne di interesse. Siamo in Inghilterra ad Halifax precisamente, la data è il 1990 e il genere che sta per nascere è il cosidetto Doom/Death Metal.

I padri putativi sono un band di ragazzini (età media 18 anni) chiamata Paradise Lost. Dopo la solita gavetta su demo tape i suddetti giovani firmano un contratto con la Peaceville scritto sul retro di un foglio A4 (!?) e nel giro di mesi danno alle stampe "Lost Paradise". Chi di voi conosce solo gli sviluppi recenti della carriera del gruppo di Nick Holmes sappia che qui si sta parlando di una band molto diversa. Il disco in questione è un perfetto esempio di fusione degli stili Doom e Death e sebbene non raggiunga nemmeno da lontano "Gothic" (il loro capolavoro) rappresenta una pietra miliare degli anni '90 in ambito Doom e un disco fondamentale per capire l'evoluzione di un genere che ha dato i natali a quello che oggi chiamiamo Gothic Metal.

Dopo una noiosa ed inutile intro, il disco entra nel vivo subito con Deadly Inner Sense, ottima song in grado di fondere la ferocia del Death più d'avanguardia alle partiture lente e morbose del Doom.
Segue a ruota l'allucinante Paradise Lost, giocata su un riff straniante, lento e un pò atipico ma molto coinvolgente.
La quarta traccia è invece quella che fa maggiormente trasparire le influenze Death Metal, Our Saviour è un capolavoro che sembra uscito da un disco degli Obituary, un brano trascinante con le chitarre a farla da padrone.

Ma se finora il disco può apparire bello ma non esagerato, la seconda parte è qualcosa che mozza il fiato.
La quinta traccia è il capolavoro del disco: Rotting Misery, un brano ormai leggenda per i fan originari della band.
Signori e signore il Doom/Death è servito!
La canzone è retta da un riff lento, morboso e ossessivo al punto giusto. La produzione scarna ed essenziale rende questa composizione ancora più cruda e angosciante, per non parlare del growl di Holmes che, sembra provenire dall'oltretomba (merito ancora della produzione grezzissima) mentre declama lentamente uno dei testi più disturbanti che abbia mai letto.
L'improvvisa accellerazione nella parte centrale condita dallo splendido assolo di Mackintosh (sempre bravissimo) rende perfetto il brano che viene infine chiuso dalla ripresa del riff principale e dal growling di Nick Holmes in crescendo.
Segue Frozen Inside, brano molto bello e più melodico rispetto agli altri. La settima traccia è invece un colpo di grazia a chi ancora dovesse dubitare della validità della band. Breeding Fear, la traccia più corta di tutte ma sicuramente la più pesante, costruita su ritmiche da schiacciasassi che si alternano a parti cadenzate (in un verso appare per la prima volta la famigerata voce femminile, scelta a dire il vero non molto rilevante). Infine dopo la banale strumentale Lost Paradise (notare la fantasiosa scelta dei titoli...) si giunge ad Internal Torment II brano conclusivo, molto Death e che si distingue per la cattiveria e l'aggressività dei suoni.

In definitiva un ascolto a questo disco trovo sia fondamentale, non tanto per la qualità in se comunque alta anche se un po' derivativa, ma perchè rimane a distanza di quindici anni dalla pubblicazione una delle basi su cui si è sviluppato un nuovo stile di concepire, suonare e interpretare la musica Heavy Metal.

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