I Paradise Lost sembravano davvero perduti dopo la delusione di "One Second", il pop commerciale di "Host" e la noia di "Believe In Nothing".
Con questo "Symbol Of Life", invece, sembrano recuperare corpo e anima, incorniciando una nuova evoluzione della band.
Le musiche si mantengono avvolte nell’oscurità, una condizione parzialmente sbilanciata solo da canzoni come "Isolate" e "Self Obsessed", due tra i pezzi più "fisici" dell'album, in cui le atmosfere opprimono anziché deprimere. I riverberi gotici vengono riscoperti con il singolo "Erased", grazie soprattutto al notevole contributo della voce femminile che echeggia pura e limpida, in contrapposizione a quella grossa e talvolta inquietante del singer. La qualità si conferma con la solenne "Two Worlds", un vero monumento all'apocalisse, o ancora nell'ottima "Perfect Mask", di certo il brano più contorto, enigmatico e psicotico.
La cadenzata "Mistify" attenua la potenza a favore della melodia, ma continua a mantenere intatto il perfetto spirito decadente, una tendenza delineata a pieno nella successiva "No Celebration", gelida e sconfortante.
Si giunge infine alla perla nera conclusiva. "Channel For The Pain" apre un vero e proprio fiume di rabbia che scorre impetuoso e senza argini, che trascina con sé, nella sua furia, sofferenza e alienazione, sino alla fine.
Così si erge "Symbol Of Life", un lavoro che, pur non avendo lo spessore ed il fascino intramontabile di "Draconian Times", ricrea una verità in cui non si vede mai la luce, ma si schiudono gli occhi alle tenebre.
"...The times I've fallen... The times I've failed..."
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