Quando tornano con un nuovo disco band del calibro dei Paradise Lost ci si aspetta sempre tanto, a volte anche troppo. E' lecito che le aspettative riguardo ad una realtà che così tanto ha dato ad un genere, siano sempre molto elevate.
Lo scorso 23 aprile è stato pubblicato ufficialmente "Tragic idol", tredicesimo studio album della band di Halifax. Gli stessi membri della band avevano parlato di questo lavoro, come di un'opera sulla falsariga delle ultime, ma dal piglio ancora più aggressivo. In effetti, dopo numerosi ascolti (ma in verità fin da subito), appare chiaro come i Paradise Lost, abbiano continuato a perpetrare le sonorità "rigide" e glaciali che avevano caratterizzato lavori come "Requiem" e "Faith divide us, death unite us".
"Tragic idol" suona tremendamente heavy, anche se non è opportuno accostarlo ai primissimi lavori. C'è, ed è indubbio negarlo, un incupimento generale, che rende i dieci brani dell'album, oppressivi e "pressanti", ma non siamo certo di fronte ad un revival di "Lost paradise". Il tiro complessivo è quello che aveva inciso profondamente sugli ultimi due lavori, ma che già si era intravisto nell'omonimo platter del 2005. Un gothic metal pesantemente condizionato dalle chitarre di Gregor Mackintosh e Aaron Aedy, in cui le valvole atmosferiche e melodiche del passato non trovano più sfogo. Anche la voce di Nick Holmes si fa decisamente più aggressiva: questo è uno degli elementi "limitanti" di "Tragic idol". Holmes indugia fin troppo su un timbro scarno e monotono, e la sua prova vocale non sembra essere certo la migliore di sempre.
I Paradise Lost sono una band che nel passato ha abituato i propri fans ad innumerevoli variazioni stilistiche, tanto che ogni nuovo capitolo della loro carriera aveva con se una portata innovativa: ogni lavoro dei PL spiazzava fans e critica. E' il caso di uscite quali "One second" e soprattutto "Host", che ha gettato nel più completo caos tutti i fans di vecchia data. "Tragic idol" invece si assesta sugli archetipi dei due lavori precedenti, soffermandosi in particolare su una rinnovata vena metallica. Questa si unisce in un matrimonio inscindibile all'oscurità perenne creata dalla sei corde di Mackintosh. L'ultima fatica di questi inglesi è quindi legata alle caratteristiche prima elencate e alcuni brani ne esaltano l'efficacia: i PL in "Solitary one" riescono a tornare al passato ("Icon" vi ricorderà qualcosa). Un pezzo glaciale e costruito su un chorus semplice quanto evocativo. Stesso risultato per la splendida "Honesty in death", accompagnata da un video altrettanto interessante: un altro brano degno dei migliori Paradise Lost.
Eppure, sebbene un livello generale comunque attestabile su uno standard altamente sufficiente, "Tragic idol" non risulta capace di farsi carico nè della portata innovativa e sperimentale di alcuni episodi passati, nè è in grado di lasciare un solco significativo nell'avvenire di una delle band che hanno scritto la storia dei primi anni del doom metal europeo. "Tragic idol" soffre di immobilismo stilistico, con questa aggressività che spinge in un angolo le nebbie più intimistiche di lavori quali "Draconian times" e "Paradise lost".
I Paradise Lost rimangono una delle band più affidabili del panorama metal mondiale. Hanno scritto e composto musica che ha lasciato un segno, nel bene e nel male. Ma gli ultimi lavori, al di là dei pareri positivi, mostrano una band ormai indirizzata verso un "credo" ben preciso. La classe rimane quella che gli ha permesso di tirare fuori opere come "Gothic" e "Draconian times", ma forse iniziano a scarseggiare le idee.
1. "Solitary One" (4:08)
2. "Crucify" (4:07)
3. "Fear Of Impending Hell" (5:25)
4. "Honesty In Death" (4:08)
5. "Theories From Another World" (5:02)
6. "In This We Dwell" (3:55)
7. "To The Darkness" (5:10)
8. "Tragic Idol" (4:34)
9. "Worth Fighting For" (4:12)
10. "The Glorious End" (5:23)
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