L'innocenza violata di una ragazza troppo giovane e ancora immersa nei suoi sogni di spensieratezza e felicità. Una maternità non voluta, conseguenza di un amore sbagliato ed il cui frutto sarà una figlia mai amata. La breve vita di questa piccola creatura, cui è stato negato l'affetto familiare, presto spezzata da un tragico incidente, quasi a ribadire l'impietosità del destino. Un fratello minore, sopravvissuto alla sorella ed ugualmente rinnegato, su cui si riverseranno i sensi di colpa materni.

In poche e fredde parole ecco la storia che si narra tra le note di questo album; e se ci sono dischi in cui la sfera emozionale si lega indissolubilmente a quella musicale, fino a prevalere, allora "Safe as Houses" è sicuramente uno di questi.

I Parenthetical Girls, che qui esordiscono sulla distanza dell'album dopo l'EP "(((GRRRLS)))" del 2004, raccontano senza edulcoranti i drammi che nascono e muoiono tra lo spazio apparentemente rassicurante delle mura domestiche. Si respira l'atmosfera inquietante e morbosa di certi romanzi di Ian McEwan tra le tracce di questo album. Se fossero immagini questi brani sarebbero forse fotogrammi al rallentatore di "American Beauty".

Si riconoscono sullo sfondo alcune delle poetiche più care a James Stewart, leader degli Xiu Xiu e vero mentore di questa band per cui ha curato la produzione dell'album di esordio. Ma se quella degli Xiu Xiu è una ricerca musicale principalmente volta alla sperimentazione, l'obiettivo dei PG sta piuttosto nel comporre un quadro di suoni contemporanei che rappresentino una ideale colonna sonora per le tragicità quotidiane narrate dalla loro musica. Un quadro in cui prevalgono le tinte forti.

I PG confezionano ballate (che in realtà assomigliano più a brevi suite) in cui elettronica e acustica si intrecciano alla perfezione ed in cui sintetizzatori e docili chitarre elettriche trovano il loro perfetto complemento nei suoni acustici di xilofoni (onnipresenti e che, non a caso, capita spesso di ritrovare anche negli ultimi Xiu Xiu), archi ed una varietà di altri strumenti.

Il canto acidulo di Zac Pennington, vera anima di questo gruppo che quasi si caratterizza in lui come una one-man band, è la voce narrante di queste storie, perfettamente in tono con il mood generale. Una voce talora incredibilmente simile a quella di Brian Molko; e vien da pensare che i PG sono forse quello che i Placebo avrebbero potuto essere se non avessero scelto la strada convenzionale del pop-rock che meglio si adatta alle programmazioni radiofoniche.

"Safe as Houses" è un disco tagliente, che già in apertura mette a disagio l'ascoltatore. "There's Blood Between My Legs, And In The Grass Outside Your House I Came" esordisce Pennington in "Love Connection Pt. II" pezzo che unisce idealmente questo disco al precedente che si chiudeva appunto con "Love Connection". Il pathos raggiunge l'apice in "I Was the Dancer" dove risuonano terribili le parole della madre alla piccola figlia ("It took you nine months to destroy my body") per una maternità che ha distrutto spensieratezza e illusioni.

Ci sono squarci di apparente dolcezza come "Oh Daugher/Disaster", "Keyholes And Curtains" o "Forward To Forget" , in cui i suoni acustici si spogliano momentaneamente del tessuto elettronico ed in cui si manifestano chiaramente su questa musica le influenze di un cantautore piuttosto misconosciuto, ma di straordinario talento come Ben Christoper, cui i PG sono sicuramente debitori.

"Stolen Children", chiude il sipario sciogliendo la tensione drammatica e musicale in una sorta di rassegnazione fatalistica.

Dunque i PG ci consegnano un album che conferma quanto di buono le loro prime registrazioni avevano fatto intuire. Un pop sofisticato e venato di lirismo, che rielabora le lezioni dei maestri (Talk Talk in primis) in chiave estremamente attuale, senza abbandonarsi all'eccessiva disgregazione compositiva che talvolta caratterizza la scena sperimentale. Un'altra piacevole sorpresa in un anno che, consentitemelo, tutto sommato non si è dimostrato poi così avaro.

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