La Corea del Sud è una delle nuove frontiere musicali, tra i territori più fertili e creativi negli ultimi anni. Scordatevi il K-Pop o il Gangam Style, qui parliamo di altro, ed è significativo il fatto che questo disco esca su Glitterbeat, etichetta di punta all''insegna della world music più contaminata, soprattutto con sonorità alternative rock o sperimentali .
Dopo i dischi di progetti come Jambinai e Black String sotto i riflettori internazionali è il turno di Park Jiha. La musicista e produttrice ci consegna un album strumentale in cui si alterna con alcuni strumenti tradizionali come il piri, un flauto di bambù a doppia ancia, il saenghwang, sorta di armonica a bocca in cui al posto delle lamelle di metallo ci sono delle canne di bambù di diversa intonazione o lo yanggeum, sorta di dulcimer suonato con martelletti. Completano la formazione Kim Oki, al sax tenore e clarinetto basso e poi John Bell al vibrafono e Kang Tekhyun alle percussioni.
“Communion” è più affine a un disco di musica classica contemporanea che non a un album di world music, più vicino in questo senso alle produzioni di Philip Glass, al minimalismo e alla musica seriale, o ancora all'ambient.
La sensazione più immediata è proprio quella di trovarci di fronte ad un album di ambient ma suonato live, con strumenti acustici, ed un utilizzo davvero minimo di effetti se non qualche riverbero per gli ambienti. Il suono del yanggeum è abbastanza comune in tutta l'Asia e lo possiamo trovare nella fascia che va dalla Cina al Giappone per arrivare fino a Bali ed è già un marchio di fabbrica che fa collocare geograficamente un certo tipo di musica già dal primo ascolto. Decisamente più sorprendente è il saenghwang che domina “Throughout the Night”, duettando con il clarinetto basso in un brano che costituisce un bel cambio di mood rispetto ai precedenti, viste le spiccate tendenze melodiche dello strumento.
“Communion” è un altro episodio suggestivo, costruito ancora sulla stessa strumentazione del precedente, un crescendo che non mi stupirebbe di trovare presto come colonna sonora di qualche film mentre in “All Souls' Day” scopriamo anche il jazz tra le influenze dell'autrice, nella sua versione più radicale, e, pensandoci, un album del genere non sarebbe stato fuori luogo nel catalogo di etichette come Tzadik o Winter & Winter.
Sono solo 7 le tracce di questo album, sufficienti per fare entrare Park Jiha tra le mie scelte dell'anno, anche se il disco non è esattamente una novità, era già stato pubblicato in Corea nel 2016, potrà avere comunque una vita molto lunga.
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