Parts & Labor da New York: musica fluorescente per i miei condotti uditivi. Quanto hanno fatto godere i miei timpani con "Mapmaker", quanto si sono drizzate le mie trombe d'eustacchio mentre facevano le porcate con "Stay Afraid". Uhhh... Uhuh
 
Parts & Labor da New York: gente che stampa dischi con l'etichetta più giusta del momento (la Jagjaguwar), gente che aspettavo alla porta e che si sono presentati all'appuntamento con tre ore di ritardo... zoppicando sul serio.
 
Finiti i vortici di synth, passato l'uragano, si sono stretti in cerchio attorno al fuoco e si sono dati tutti la mano pensando d'esser sopravvissuti al peggio. Via il batterista iper-mega-fracassone, fac-simile del cantante dei Les Savy Fav (caso umano prelibatissimo), e dentro un orientale e una chitarrista (sisi, con la A finale... nemmeno troppo carina). Morale della favola: si saranno innamorati, la preparazione atletica non avrà retto per tutti i novanta minuti, fatto sta che si sono fermati e dati al Pop.
 
"Receivers", stampato ovviamente per i giusti della Jagjaguwar nel 2008, è un disco fondamentalmente pop che mi ha fatto cambiare più idee che mutande. Accolto in casa come un benefattore, cacciato come un testimone di Geova. Io e "Receivers", in nemmeno un mese, abbiamo attraversato tutti gli stadi dell'innamoramento. Dalla passione iniziale alla nanna senza coccole. In fondo in fondo canzoni buone ci sono ("Satellites" e "Little Ones"), il singolone spacca timpani pure ("Nowheres Nigh"), il momento riflessivo un po' viaggione c'è ("The Ceasing Now"), quello romanticone ("Mount Misery"), che stranamente è il mio preferito, spacca. Gli ingredienti ci sono tutti... morale della favola 2.0: BOH... "Mapmaker"!

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