Mi accingo a recensire un album post '77 (incredibile, diranno molti, ma tant'è...) e per giunta che vede coinvolta una delle band più vituperabili del momento, gli U2.
Il disco in questione è però interessante perché gli U2 decidono di non fare gli U2: nel 1995 entrano in studio allargando il gruppo a Brian Eno e Howie B., e sperimentano su sonorità ambient ed elettroniche, allontanandosi di molto dai loro canoni artistici che peraltro dopo Zooropa entreranno nella categoria dl deprimente. Interessante è anche l'idea di fare un disco dal labile sostrato concept, ovvero presentarlo come una raccolta di colonne sonore di film in realtà immaginari; tutto è molto surreale e ironico, a partire già dal titolo, in quanto non esisterà mai un "Original Soundtracks Vol. 2". I film descritti nelle note di copertina dunque non esistono, e dietro ai nomi di protagonisti e registi si celano infatti, anagrammati, i musicisti stessi: solo pochi pezzi avranno in seguito un reale sbocco cinematografico. Questo supergruppo a sei decide di celarsi dietro il nome Passenger, in riferimento anche al passaggio di numerosi ospiti, illustri o meno, sui quali spicca il tenore Pavarotti.
Si parte con un ottimo pezzo strumentale, "United Colors Of Plutonium", aperto da un ticchettio ossessivo di bacchette e da sinistri inserti di synth coadiuvati da robotiche percussioni elettroniche sulle quali si inseriscono violente sferzate di sax, suonato da David Herbert, e urli di chitarra inzuppata di effetti. Un'atmosfera alla "Blade Runner", notturna e di luci al neon, caotica e sintetica ma molto pregnante, con anche un ripetitivo e veloce riff di tastiere a scandirne l'incedere sinistro. Segue l'ottima "Slug", che inizia con un delicato inserto di synth e chitarra distorti retto da un pattern di drum machine dal suono "globoso" e echeggiante rintuzzato da percussioni elettroniche. Il testo cantato da Bono ricorda un po' "Numb", ma qui l'atmosfera è molto meno oppressiva, più fantascientifica, non industriale ma piuttosto aliena e "organica", anche se la conclusione è affidata a cupe percussioni dal suono più sporco e sotterraneo.
Molto bella anche "Your Blue Room", brano più classico, molto rilassato e leggero, come avvolto da un drappo di seta; c'è ben poco di elettrico e distorto, la batteria lavora di spazzole e la chitarra cesella con armoniosa gentilezza, il suono è tipicamente U2 ma è efficace perché scarno e allo stesso tempo sontuoso, e crea un'atmosfera molto sensuale, quasi erotica: non per niente la canzone verrà utilizzata da Michelangelo Antonioni nel film "Al Di Là Delle Nuvole", nell'episodio dove Caterina Caselli accoglie l'amante in una stanza dalle pareti blu. Si chiude con un assolo lentissimo e un recitativo vocale che suggellano un altro pezzo degno di nota. Potente e suggestivo anche lo strumentale "Always Forever Now", utilizzato da Michael Mann in "Heat - La Sfida", che vede in evidenza le pulsanti percussioni, anche elettroniche, e i ronzii inquietanti della chitarra elettrica di The Edge. E' un pezzo sincopato e ben rifinito dall'atmosfera notturna e urbana, forse un po' guastato dagli inserti vocali di Bono che ripetono il titolo ma sono banalizzanti; molto bella la parte finale dove il ritmo accelera, la chitarra tira note lunghe e le tastiere avvolgono il tutto con un suono d'archi in crescendo per poi ripiombare repentinamente in un cupo mormorio.
La breve "A Different Kind Of Blue" è un pezzo minimale totalmente in mano a Brian Eno, che canta una surreale poesia con voce filtrata su inserti leggerissimi di tastiere, in perfetto stile ambient; funge da introduzione a "Beach Sequence", altro strumentale visionale e soffuso, caratterizzato da rade percussioni e arpeggi di chitarra, basso gentile e un semplice tema di piano ripetuto con poche variazioni sino alla fine. In sottofondo si odono scrosci leggeri d'acqua e soffi invisibili di tastiere, il tutto è molto semplice ed efficace, e infatti questo pezzo figura di nuovo nel film di Antonioni, proprio nella sequenza girata da Wim Wenders (assistente alla regia) su di una spiaggia.
Si è detto in apertura che il disco è interessante perché gli U2 scelgono di sperimentare e di "non fare gli U2". Quando questo nobile intento viene lasciato da parte, scaturisce il brano più irritante e insulso del disco, "Miss Sarajevo", paradossalmente da molti ritenuto un capolavoro e che in realtà è un ruffiano polpettone di beneficenza tipico di Bono e dei suoi amici miliardari del "club per un mondo felice". Qui si parla della guerra in Bosnia, e lo si fa con liriche noiose su di una musica piatta e banale che rovina la particolare atmosfera creata prima. Pavarotti, grande artista dalle discutibili (e forse anche poco pulite) scelte finanziarie, canta in italiano l'ultima strofa di questo baraccone dei buoni sentimenti fatto per piacere ai più, con l'ego smisurato di Bono ormai sazio e convinto di aver fatto un passo in più verso la deificazione.
Da qui in poi l'album risulta un poco compromesso: "Ito Okashi" è un breve bozzetto costruito ad arte sulla voce della cantante giapponese Holi con una base ariosa di tastiere programmate, ma si dimentica inesorabilmente. Molto meglio "One Minute Warning", utilizzato in un cult-anime come "Ghost In The Shell", sorretto da una buona ritmica ornata da inserti campionati e vocali molto distorti, che danno l'impressione di una fuga vertiginosa in tecnologici corridoi di un'intelligenza artificiale impazzita; bello anche il finale corale con Brian Eno in testa e una chitarra che conferisce un senso di macabra speranza. Penose invece le successive "Corpse", cantata malissimo da The Edge, con una base ritmica industriale alquanto noiosa, e "Elvis Ate America", una sorta di blues con Bono e Howie B. alla voce su di una base programmata sghemba e sovraccarica: brutta prova vocale per tutti i quanti, brano francamente molto antipatico. "Plot 180" si snoda inquietante tra percussioni distorte, un basso meccanico e minaccioso e inserti spettrali di tastiere; non ha grandi caratteristiche, ma rende bene un'atmosfera oppressiva che rimanda ancora una volta a un mondo urbano e futuristico alla "Blade Runner". Segue "Theme From The Swan", composizione estremamente rilassata con note lunghissime di violoncello e rumore di pioggia che cade, senza sezione ritmica né melodia; l'album potrebbe anche finire qui, ma si sobbalza all'attacco di "Theme From Let's Go Native", ennesimo strumentale molto ritmato, senza grandi sviluppi e piuttosto ripetitivo, che non offre più di un gradevole ascolto, anche se la sezione ritmica lavora abbastanza bene.
Personalmente trovo che il disco sia un lavoro curioso e anche coraggioso; degno di lode è il fatto che gli U2 abbiano deciso di accantonare per un attimo il loro classico modo di lavorare e darsi a una serie di sperimentazioni per lo più riuscite. La prima parte è assolutamente ben fatta, e i primi sei pezzi si distinguono senza dubbio, ma infastidisce non poco l'inserimento di una canzone come "Miss Sarajevo", uscita anche come singolo col preciso scopo di azzannare le classifiche. A parte questa e altre tracce successive piuttosto imbarazzati, il lavoro è alquanto godibile, simpatico nelle sue pretese cinematografiche, molto curato e ottimamente suonato. La vena buona ahimè si esaurirà subito, perché "Pop" ed eredi segneranno la lenta agonia di vegliardi ormai un po' ammuffiti; gli U2 visionari e sperimentali nascono e muoiono qui.
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