Pat Martino è uno dei più grandi chitarristi jazz sulla scena internazionale. Prendete uno qualunque dei suoi dischi e ne avrete conferma. La strada che lo ha condotto a questo risultato, tuttavia, è stata molto difficile, al punto che potrebbe facilmente costituire la trama di un film hollywoodiano.
Nato a Philadelphia nel 1944, Pat viene instradato al jazz, alla carriera musicale dal padre, a sua volta cantante e chitarrista. A dodici anni inizia a suonare la chitarra e a quindici anni è già un professionista, che miete gli elogi dei maggiori chitarristi del tempo, fra tutti Wes Montgomery. Quest'ultimo, tra l'altro, rappresenta per Pat uno dei suoi principali modelli, anche se bisogna riconoscergli la continua ricerca di un proprio sound. Negli anni a seguire, dopo una gavetta da turnista, inizia a pubblicare alcuni dischi da leader. La sua reputazione musicale cresce progressivamente e sembra avviato ad una lunga e luminosa carriera, quando, nel 1976, gli viene diagnosticato un aneurisma cerebrale. Diviene necessario intervenire chirurgicamente per salvargli la vita. L'operazione riesce, ma Pat perde la memoria. Dimentica tutto: la sua vita, la sua carriera, la sua chitarra, come suonarla. Il talentuoso chitarrista scompare. Deve ricominciare.
Nel 1987, finalmente, torna ad esibirsi in un club. Il live viene inciso e intitolato metaforicamente "The return". Non registra altri dischi fino al 1994 con l'uscita di "Interchange". Da allora ritrova la continuità. Oggi Pat Martino è tornato ad essere l'incredibile chitarrista di un tempo.
Ascoltate "Live at Yoshi's" (Blue Note - 2001). E' uno dei dischi guitar jazz più belli che ho sentito negli ultimi anni. Il disco permette di cogliere appieno la sorprendente la tecnica chitarristica di Pat Martino. Veloce, preciso, pulito, raffinato, elegante. In questa occasione è possibile sentirlo accompagnato dal batterista Billy Hart e da Joey De Francesco, un genio dell'Hammond B3, che dialoga perfettamente con la sei corde di Pat Martino. Sessanta minuti di musica, otto brani in tutto fra i quali spiccano "Blue In Green" di Miles Davis ed una bellissima interpretazione di "Oleo" di Sonny Rollins. Lo consiglio a tutti, anche a chi non ama il jazz. Potrebbe ricredersi.
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