Ero poco più di un bambino quando ho visto per la prima volta l'organetto a manovella, in una piazza di Parigi. Uno strumento curioso. La musica è già composta, su partiture che non sono altro che un rotolo con delle sporgenze. Il nonnetto di turno ha solo la premura di cambiare il rotolo e far girar la manovella al ritmo giusto. Un carillon umano in sostanza.

"Orchestrion" è l'ultima follia di Pat Metheny. Ha una vera e propria banda invisibile a sua disposizione. Dietro al vibrafono non c'è Gary Burton. Nessun Mays dietro al piano, e le percussioni? Sbattono da sole.

Pat ha un vero e proprio carrozzone inumano, di strumenti classici da old school, ma manovrati da una gestione fredda e sterilizzata, elettronica.

Si perché non c'è nessuno che fa girare la manovella. Oddio, in effetti un programma dietro ci deve essere, un programmone a dire il vero. Immaginate il lavoro di programmazione che c'è dietro.

La struttura è complessa, per carità, ma l'unico che ci mette la carne e l'anima, è il caso di dirlo, in gioco, è Pat. Pare che questo ensemble di strumenti sia direttamente guidato dalla chitarra del nostro, da sempre amante delle innovazioni tecnologiche (vedi il synth).

Pat, si circonda di questi strumenti che eseguono il loro dovere senza smanie di protagonismo o slanci eroici, finezze, arguzie del caso, se non quelle già previste da lui stesso.

Tolta l'imprevedibilità, rimane un immenso spazio a Pat, che ha così a disposizione una cornice gestita a 360 gradi, sulla quale gioca con la solita maestria.

Se il suono globale perde personalità, non manca comunque quel fascino armonico, sommesso e soffiato, pulito da qualsivoglia imperfezione, come un carillon che probabilmente non teme nemmeno l'umidità e ripete la prestazione richiesta come un perfetto automa.

Le scelte: coraggiose, impegnative, oblique, assurde. Gli spazi, illimitati come sempre. Dove sta la vera rivoluzione? Intorno a queste strumentazioni, un gioco di luce accompagnerà i suoni.

Giocoforza ne uscirà un lavoro pieno di contrasti: moderno e antico, cupo e arzigogolato.

Indubbiamente curioso, diverso. Chiamiamolo dj-jazz, o semplicemente "Orchestrion".

E ora veniamo al giudizio. C'è già molto materiale in internet, e dopo un ascolto superficiale non si avverte alcun passo in avanti. Musicalmente siamo fermi, che più fermi non si può.

Sembra addirittura un passo indietro. Ci sono alcune sonorità che appaiono estratte da "The Way up", ed altre dalla stanca tarda fusion alla "Imaginary day" (che non era affatto gran cosa).

Se il nostro eroe si è concentrato sulla "cornice", certamente ha lasciato a riposo slanci creativi, almeno per il momento.

Non voglio essere inclemente, ma anche nella posizione di grande fan di Pat quale sono, credo che il tutto non avrà la sostanza di un passaggio indimenticabile per la storia del contemporary jazz.

Eppure Pat aveva presentato la cosa con grande entusiasmo, parlando di rivoluzione (si, certo, nella forma), ma quella che interessa non è la mera esibizione live, a cui non intendo in ogni caso rinunciare (sicuramente gestita in modo impeccabile), ma la sostanza, quella della contemplazione della musica, a casa, seduti a presagire le intensità dei passaggi, la ricerca, la commistione, il trasporto, il valore storico.

Tutto questo ha un sapore magico, ma in bocca qualcosa, purtroppo, stona.

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