Mi ricordo delle serate invernali del 1995, mi ricordo quando passavo le notti in compagnia di amici che in quel periodo assolvevano il servizio civile nella mia città, gente comune che aveva trovato alloggio in un comune appartamento del centro. Mi ricordo che il soggiorno si trasformò magicamente in un piccolo laboratorio di sperimentazioni musicali completo di 4 tracce analogico - solo a pensarci che nostalgia - e la sera ci ritrovavamo a suonare muniti di chitarra, basso, drum machine e un'unica passione: la musica. Mi ricordo che i principali ascolti di quel periodo erano Butthole Surfers, Kyuss, John Zorn, JS Blues Explosion... ma uno su tutti aveva catalizzato la mia attenzione: l'enigmatico ed irriverente esperimento di chitarre conosciuto con il nome di "Zero Tolerance For Silence", una delle poche composizioni soliste di Pat Metheny. Pertanto, iniziammo a registrare qualche demo provando ad adattare uno stile noise su alcuni vecchi Blues del Delta: forse le idee originali erano anche passabili, ma la musica che avevamo prodotto lo era sicuramente meno.
Insomma, bisogna essere dei jazzisti puri nella tecnica (e soprattutto nell'anima) per sapere come e dove tagliuzzare la tela di un immaginario "quadro sonoro", per saper calibrare i colori nei giusti punti e poi illuminare questo quadro con un vecchio neon, che in alcuni momenti emana quel tipico bagliore di refresh ed in altri emana decisa e scintillante luminosità a profusione. Questo è quello che può sembrare di vedere... ascoltando "Zero Tolerance For Silence".
Mica si può subito dire: "E che ci vuole... questo lo so fare pure io!" Eh No.
Pat Metheny lo fece, in una notte sola: il 16 dicembre 1994 al Power Station (NYC), dove registrò 39'16" di selvaggio ed elettrico riffing, una sorta di "Metal Machine Music" del jazz, entrando nell'ambito delle sperimentazioni radicali di musicisti come Sonny Sharrock, Glenn Branca o Derek Bailey. Successivamente, un celebre chitarrista rock (Thurston Moore dei Sonic Youth) ebbe a dire in proposito: "... a new milestone in electric guitar music... searing, soaring, twisted chords of action guitar/thought process. An incendiary work by an unpredictable master, a challenge to the challengers... ".
La leggenda narra che all'epoca Mr.Metheny aveva avuto alcune divergenze con l'etichetta discografica e che, in virtù del contratto che ancora lo vincolava, doveva uscire con un ultimo lavoro prima di divorziare.
"Ah si?" - pensò in cuor suo - "E allora NON ti faccio vendere neanche una copia, tanto sai a me cosa mi cambia... ".
...a me piace immaginarla così.
Mi piace immaginare che le 5 tracce le abbia composte così, con distrazione, per gioco o per scherzo beffardo, rigettando sul disco fiumi di parole che non diventano dialogo, che danno fastidio, che non trovano un accordo, fiumi di note che si accavallano, voci di un litigio che vogliono sovrastarsi e predominare una sull'altra, voci che ti fanno irritare, che sono in disaccordo perché orfane della reciproca armonia. Voci dissonanti, con distorsioni di vedute, di pensieri, di effetti, di sfumature: ora gridate con passione, irruenza, rabbia; ora parlate con cadenza imprevedibile, talvolta lugubre, che ti lasciano un senso di alienazione straniante; ora sussurrate con calma... calibrata... ponderata.
Un disco in cui la sostanza dei suoni sembra costituita di uno spazio fluttuante maglie di cristallo, inondate di luce accecante e poi, un attimo dopo, nascoste nel buio più cupo; un luogo dove le sfere emozionali della coscienza vengono tagliate, intersecate da piani irregolari che appartengono ad altre geometrie, ad altre regole del gioco, un gioco dove tiri i dadi e forse ti muovi su un'altra casella, ma sicuramente di un altro gioco con nuove regole da imparare. Uno spazio dove le simmetrie esulano dal loro contesto tradizionale e dove le comuni logiche del pensiero vengono portate a spasso, come in una litografia di Escher, come in un labirinto fatto di specchi deformanti qualsiasi immagine sensata si cerchi di voler vedere o creare. E qui, la probabilità più elevata di partecipare ad un unico gioco a somma zero, con le sue regole semplici e coerenti, sembra solo quella di abbandonarsi ad uno stato di "trance": solo allora tutti questi percorsi sghembi potrebbero assumere la forma di una familiare e confortevole retta... di una soluzione da afferrare... di un tiro di dadi a punteggio pieno... che ti conduce fino alla fine del viaggio.
Ma un luogo sicuro? Una dimora, un rifugio... in altre parole: E IL SILENZIO?
È solo una breve sosta tra una tappa e l'altra del viaggio... è solo un luogo dello spazio interiore squarciato, devastato, soffocato, in effetti... con tolleranza zero.
Perché, forse, quella volta là gliele avevano fatte girare di brutto... e allora "Ecco come NON ti confeziono il disco che ti aspetti!"
Morale della favola: il pubblico lo accoglie freddamente e i discografici si disperano.
Pat Metheny con sobrietà sorride, ringrazia e chiude la partita.
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