L'operazione in sè è piuttosto furbetta e paracula, otto canzoni in "Sundark" e altre otto in "Riverlight"; ovviamente ci sarebbero state benissimo tutte e sedici in un disco solo, ma in questo caso le scelte di marketing si sono rivelate apprezzabili e funzionali, nonchè basate su un fondamento artistico: meglio questo che un banale e sovrabbondante best of, "Sundark And Riverlight" è qualcosa di più accattivante e ambizioso. 2012, L'ultimo album del buon Paddy Wolf è stato il brillante e solare "Lupercalia", per alcuni forse anche un po' troppo brillante e solare; io non condivido minimamente, lo ritengo una grande prova di maturità, con cui ha saputo svincolarsi da certi clichès che, se non supportati da ispirazione e sincerità, finiscono col diventare oltremodo irritanti; era il momento giusto per fermarsi e tracciare un bilancio di quanto fatto fino ad ora. Prende sedici canzoni, le divide in due gruppi a seconda del mood e se ne torna in studio per inciderne delle versioni acustiche, senza comunque rinunciare a quel corollario di orchestrazioni (archi soprattutto) che costituisce uno dei tratti più caratterizzanti del suo stile; anche qui sostanzialmente nulla di nuovo, però "Sundark And Riverlight" è senza dubbio un'operazione nata e riuscita bene. Godibile per chi già lo apprezza, perfetta come punto di partenza per conoscere il più dotato e affascinante songwriter del nuovo millennio, almeno secondo il sottoscritto.

Fa piacere constatare che, per la prima volta in carriera, Paddy ha finalmente proposto una copertina all'altezza della situazione: le precedenti erano tutte o scialbe o kitsch ma non abbastanza kitsch da impressionare, questa ha decisamente il suo fascino e il suo perchè; per il resto, trattandosi di una panoramica, le qualità espresse sono già ampiamente conosciute, gran voce, lyrics incisive ed eleganti, ottime canzoni e grande cura e ricchezza negli arrangiamenti, anche in questa veste semi-unplugged. Ombre (Sundark) e luci (Riverlight), l'idea è questa, ma la distinzione non è affatto netta come si potrebbe pensare: ognuna delle due metà ha i suoi episodi inequivocabili e caratterizzanti, che ne definscono il carattere, ma anche tonalità e gradazioni più sfumate. Per quanto riguarda "Sundark", quattro canzoni su otto sono scelte praticamente obbligate: "Wind In The Wires", "The Libertine", "Oblivion" e "Hard Times", in rappresentanza dei due album più "scuri", nonchè tra i più grandi classici (se così possono definirsi) della sua produzione; anche in queste versioni mantengono intatto il proprio fascino e le connotazioni teatrali, in particolare "Oblivion" che, senza l'elettronica e gli effetti vocali dell'originale, perdè in eccentricità guadagnando moltissimo in termini di pathos drammatico. "Overture" segna idealmente il confine con l'altra metà dell'opera proponendo un folk raffinato con arrangiamenti orchestrali, tutt'altro che lontano da certi episodi del grande Al Stewart, e su questa linea si assesta anche "Paris" con il suo sontuoso chamber-pop, ripresa dal primo album, "Lycanthrophy": due canzoni, già belle così com'erano, ulteriormente valorizzate da vesti più sobrie ed essenziali. "Vulture" invece è una scelta per me incompresibile: esperimento elettronico simil-new wave nella versione originaria, che ritengo essere uno degli episodi meno convincenti di tutto il repertorio di Patrick Wolf, se non il meno convincente in assoluto, qui migliora leggermente ma non abbastanza da reggere il confronto con gli altri pezzi proposti; pezzo troppo statico e ingessato, di una teatralità darkeggiante che proprio non riesce a convincere; una "The Gypsy King" sarebbe stata la scelta ideale per una scaletta impeccabile, ma un errore ci può anche stare.

Se in "Sundark" la parte del leone (5 su 8) spettava agli album "Wind In The Wires" e "The Bachelor", in "Riverlight" la medesima proporzione è spartita tra "The Magic Position" e, ovviamente, "Lupercalia"; a proposito di quest'ultimo, avrei qualcosa da ridire sulla scelta dei brani, al posto delle pur apprezzabili "Bermondsey Street" e "Together" (quest'ultima è forse l'unico episodio a perdere nettamente il confronto con l'originale) avrei optato per "The City" e "The Future". "House" invece c'è, per fortuna; una scelta obbligata, dato che è una della canzoni di Paddy a cui sono più legato emotivamente. Facezie a parte, "House", insieme a "The Magic Position", è la canzone simbolo del Patrick Wolf più felice, spensierato e trascinante, l'apice "positivo" di questa pregevole raccolta, ma "Riverlight" è composto soprattutto da atmosfere sognanti e riflessive, spesso non meno immediate, basti pensare all'emozionante crescendo di "Bluebells" e a "Teignmouth", ballatona da pelle d'oca. Come in "Sundark", anche qui gli estratti da "Lycanthrophy" definiscono un'incerta linea di confine, la visionaria "Wolf Song" con la sua ineffabile dolcezza notturna e "London", che racchiude in sè la duplicità di quest'opera: "Sun dark on darker streets, it's violent times for weary feet, carjackers and bullet showers, a yellow sign, too many fools in power ... But see, I will be gone by morning my dear, London goodnight, forget me, I wash myself in your gray river light".

Un'altra cosa intrigante è che "Sundark And Riverlight" rimane ad oggi l'ultimo atto della carriera di Paddy Wolf, una carriera fin qui assolutamente impeccabile. Da questa bellissima raccolta sono passati ormai tre anni, quattro dall'ultimo album di inediti; confesso una certa suspence, ho voglia di scoprire le sue prossime mosse, e spero di non dover aspettare troppo. Nessuna pressione, Paddy, però... Inutile tergiversare ulteriormente, Patrick Wolf è un grande: ha uno stile facilmente riconoscibile ma di ampi orizzonti, voce, personalità, energia, impatto, nessuna carenza significativa. Ora dirò qualcosa di "pesante", la sparo grossa: non vedo altri se non lui degni di poter raccogliere il testimone, di ereditare il trono di ...(omissis)..., può darsi che questa mia sensazione rimanga un desiderio incompiuto o, peggio ancora, che mi si ritorca contro, quindi teniamoci un po' sul vago, lasciamo aleggiare un po' di mistero ma io ci credo, di indizi e dimostrazioni Patrick Wolf ne ha già lasciati parecchi.

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