D'accordo che non è minimamente paragonabile né ad «Horses» né a «Radio Ethiopia», per ovvi motivi; e nemmeno vale «Easter» o «Wave», mancando di pezzi come «Because The Night» o «Rock'n'Roll Nigger» oppure «Frederick» o «Dancin' Barefoot».
Però, siamo pur sempre di fronte al nuovo disco di Patti Smith, dopo il bruttino assai «Trampin'» e quel «Twelve» che andava un po' meglio ma non scaldava punto il cuore.
L'ultimo «Banga», invece, risolleva decisamente le sorti musicali di Patti, collocandosi un gradino sotto «Easter» e «Wave», ed è una gran cosa considerato come siano passati oltre trent'anni dai fasti della tetralogia smithiana.
A me piace pensare che a ciò abbia contribuito in misura determinante la collaborazione con Tom Verlaine, che illumina da par suo «April Fool» e «Nine», i brani migliori del disco; soprattutto «April Fool», un gioiellino pop dalla melodia cristallina che, adeguatamente supportato, potrebbe scalare le classifiche, non a caso scelto come singolo apripista dell'album.
E dire che «Banga» non parte nel migliore dei modi, con quella «Amerigo» in cui Patti gioca un po' troppo a fare la Patti dei bei tempi andati, calcando la mano sulla consueta alternanza tra cantato e recitato che oggi ha poco senso.
Discorso, più o meno, simile per «Constantine's Dream» (con la partecipazione degli aretini Casa Del Vento), che soffre di momenti ieratici fuori luogo, neanche fosse «Birdland» o «Radio Ethiopia»: insomma, quella della sacerdotessa punk è una vecchia storia, morta e sepolta.
Per fortuna, però, tutto il resto fila via che è un piacere, a partire proprio da quelle «April Fool» e «Nine» che tracciano il solco.
Ed il solco è quello di un disco piacevolmente pop(olare), estremamente ben suonato in ogni singolo episodio, da «Fuji-san» a «Mosaic» fino a «Tarkovsky». Di accelerazioni rock, alla «Pumping» per intenderci, ce ne sono davvero poche, solo nella title-track, che, per quanto apprezzabile, appare lievemente fuori fuoco rispetto al contesto generale del disco.
Colpiscono soprattutto gli omaggi.
In primis, quelli a chi non c'è più: «This Is The Girl», dedicata ad Amy Winehouse, e forse la canzone più bella che lei non ebbe il tempo di scrivere; e «Maria» per Maria Schneider, quanto mai emozionante nella sua spoglia forma a far risaltare la voce di Patti.
E poi l'omaggio indiretto al vivo e vegeto Neil Young (e che Dio ce lo mantenga), con la splendida ripresa di «After The Gold Rush», a dare un messaggio di speranza e laica fede in tempi migliori di questi.
Davvero un bel disco, questo «Banga», anche se la rivoluzione è fallita e quello che rimane è la terza età da approcciare in quiete e serenità.
PS: E per fortuna, il comandante Schettino non è riuscito a privarci della gioia di ascoltare un nuovo disco di Patti Smith ...
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