John Halsey - sopravvissuto alla droga, al mestiere di musicista, e alla sorte – oggi gestisce un pub a Oxford e ha una gamba che zoppica. Gli hanno chiesto di scrivere una presentazione per  il libretto di un’antologia dei Patto, “Sense of Absurd” ma non è molto bravo a scrivere e pensa che la farà fare a qualcun altro. Comunque ci voleva prima provare e stasera ha buttato giù qualche riga. Sta rileggendo quanto ha scritto:

“Ho suonato con tanta gente in vita mia, e la voglia di essere un batterista non mi è ancora passata; ma mai mi sono divertito come nei Patto, è un peccato che tutto sia durato così pochi anni! Mike e Ollie…devo fare un piccolo sforzo per ricordarne i volti…ripescarli com’erano nel pozzo della memoria...eccoli, li ho trovati. Quei due folli fenomeni. Soprattutto Ollie, che aveva iniziato a suonare la chitarra appena un paio di anni prima che uscisse il nostro primo album. Ollie, che quando dividevamo la stanza durante i tour non mi faceva chiudere occhio, perchè di notte studiava le sue scale. Ogni volta che qualcuno mi chiede qualcosa o mi intervista riguardo quel periodo, alla fine butta  sempre lì la solita constatazione tipo 'sì, c’era la sensazione che i Patto presto sarebbero diventati davvero grandi, che avrebbero sfondato, ma poi non è successo' e io non posso che rispondere: 'Già…non è successo'. Del resto, che diavolo si aspettano che dica? Le ragioni non le so, e me ne importa poco. Eravamo un gruppo istrionico, soprattutto dal vivo. Quando io avanzavo l’ipotesi che si potesse provare a scrivere qualche canzone pop per tentare di venderla Mike e Ollie si guardavano come sbalorditi. No, di tornare indietro non se ne parlava.
Perché alla fine degli anni ’60 eravamo convinti che quel che facevamo (vogliamo chiamarlo pop-psichedelico?) non ci rispecchiasse più. Perciò abbiamo cambiato nome (da Timebox in Patto) e formazione: il leader era Mike Patto (al secolo Michael McCarthy). La sua voce?  Roger Chapman che va a sbattere contro Captain Beefheart; graffiante, duttilissima e, credetemi, dall’alto tasso alcolico. Ma nonostante tutto una voce limpida, chiara. C’era Clive Griffiths al basso, e io, naturalmente, alla batteria. Ma l’anima del gruppo era  Peter “Ollie” Halsall, a 21 anni già un musicista davvero totale, nelle mani, nella testa, nel cuore. Ollie aveva imparato a suonare i vibes a 14 anni colpendo con i battitori alcune strisce di carta appoggiate sul letto, ed era stato pure un batterista professionista; poi  prese in mano la chitarra, per la prima volta nel ’67. Nel 1970 abbiamo realizzato “Patto”, che qualcuno ha definito una miscela di rock teso e jazz, per la Vertigo che ci aveva pescato salvo scaricarci dopo due album: infatti non vendemmo molto. “Patto” è ruvido, grezzo, l’avevamo registrato in modo che avesse una compattezza violenta, che aggredisse chi ascolta. I bruschi cambiamenti di ritmo erano un po’ il nostro marchio di fabbrica, il motto di Mike era 'mai fare l’ovvio'. L’inizio in un tono controllato con “The Man”, vi avverto, è quasi un depistaggio. Il resto è una rincorsa di pezzi densi e vertiginosi (“Hold me back”, “Time to die”, “Red Glow”) che sfocia nell’improvvisazione di “Money Bag” ( la mia preferita) dove Ollie è il padrone di casa, mentre “Sittin’ back easy” con la sua doppia faccia, morbida e rude, è il sigillo conclusivo.

L’anno dopo abbiamo registrato “Hold your fire”, che è risultato un po’ meno irruento ma più rifinito. In un solo anno Ollie aveva fatto passi da gigante, era un vero virtuoso. Inventava e dispensava riff e assoli in “Hold your fire”, “How’s your father” ,“See you at the dance tonight” e “Air-raid Shelter”con una fluidità tale che ha reso la struttura del disco molto più organica; si sente la sua egemonia in ogni pezzo. Fra l’altro, ha suonato lui il piano in tutto il disco, ed anche il vibrafono in “Magic Door”; ma c’è una cosa che ancora oggi mi emoziona sul serio, ed è la stupenda ballata di protesta  “You, you point your finger”: la voce di Mike è per una volta tanto limpida da sembrare accorata e quasi indifesa. Certo il testo, con tutta quella rabbia generazionale, ora sembra un po’ venato di retorica, ma credo che anche le nuove generazioni potrebbero, perché no, rispecchiarsene. Dopo questo disco la Vertigo ci ha scaricati. Il produttore poi ci dice 'basta ragazzi, è finita con tutto ‘sto progressive. Ora c’è il glam rock, i Roxy Music'; bè, come gruppo non possiamo dire di esserci adattati facilmente, abbiamo fatto altri due album, poi ognuno per le nostre strade (che si sarebbero spesso incrociate di nuovo): Mike ha continuato a portare in giro la sua voce leggendaria, Clive Griffiths e io suonavamo a più non posso per sbarcare il lunario, così come Ollie che alla fine si è legato alla band di Kevin Ayers ma resterà misconosciuto ai più, nonostante, per me,  sia degno di starsene a braccetto con Hendrix nell’Olimpo dei chitarristi. Tutto qui, così vanno le cose. La nostra era una formula destinata a restare immortalata come un fermo immagine nei pochi anni in cui visse, ma forse riesce a brillare forte ancora oggi.”

John ha finito di rileggere, e non gli piace molto: sembra una romantica collezione di ricordi! La gamba zoppicante gli fa male. E’ la gamba che teneva appoggiata sopra il cruscotto mentre dormiva sul sedile, la notte in cui lui e Clive Griffiths hanno avuto quel maledetto incidente d’auto. I Patto si erano sciolti da un pezzo. Lui se l’è cavata con qualcosa di rotto, Clive invece, che guidava, è paralizzato e con la memoria in frantumi riguardo la sua vita precedente, ovviamente non sa nulla di un gruppo di nome Patto. Non si sa se è andata peggio al bassista o agli altri: Mike Patto è morto un giorno del ’79, di quel cancro alla gola con cui aveva convissuto tre anni. E Ollie Halsall se n’è andato, per un infarto legato alla droga, una sera del ’92. Stasera come allora John Halsey realizza di essere rimasto un po’ l’unico custode dell’esistenza dei Patto. Insieme a tutti quelli che li seguirono dal vivo, e a cui loro sono rimasti nel cuore. Ma ora congediamoci da John,  unico di loro sopravvissuto alla droga, al mestiere di musicista, e specialmente alla sorte.
Io penso che i Patto negli anni ’70 e ‘71 siano stati forse i più grandi di tutti. E’ difficile spiegarne il perché, è un perché soggettivo. Nelle sedici canzoni di questi due album c’è un istinto pulsante dal seme originale e bizzarro, un istinto lontanissimo da ogni ingenua sperimentazione e da ogni artificio; un’anima divisa in quattro che gioca veementemente con generi e convenzioni, un’alchimia devastante per i primi anni Settanta come per oggi o i giorni futuri. Un messaggio non effimero, terribilmente vitale, e onesto. Insomma, pensate a ciò che più di tutto vi leva il respiro… questi due dischi potrebbero essere, chissà, un gradino più in alto. Li adoro.

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