"Barry Ryan... Barry Ryan... Uhm, questo nome non mi è nuovo, sono sicuro di essermi già imbattuto in qualcos'altro di suo, ma cosa?" Giusto, ora ricordo, "Eloise"! All'epoca l'originale mi suonò un po' pesantuccia, datata, meno brillante della sontuosa cover dei Damned, e così non approfondii ulteriormente il discorso. Allora chi è stato a farmi tornare sui miei passi e spingermi ad indagare sui fratelli Ryan? Ebbene si, ancora Marc Almond, e ancora quel benedettissimo "Stardom Road". Tanto per intenderci, il disco che mi ha fatto conoscere Al Stewart, il primissimo David Bowie e, tramite un duetto con Sarah Cracknell, anche i Saint Etienne; quindi, se Marc mi piazza un'imperiosa e rutilante "Kitsch" io non posso assolutamente rimanere inerte, è il dovere che chiama.
La storia di Paul e Barry è a suo modo emblematica e affascinante, e la loro musica, ormai di un'altra epoca, desta comunque interesse e sensazioni positive: non solo "Eloise" e "Kitsch", sono sicuro di aver già sentito da qualche parte anche "Baby I'm Sorry" e "Heartbreaker", singoli di matrice prettamente beat le cui melodie evergreen riecheggiano con forza sicuramente maggiore dei nomi dei loro interpreti. Ma procediamo con ordine: Paul e Barry Ryan sono fratelli gemelli, figli d'arte in quanto la madre Marion è stata una cantante di buon successo negli anni '50 e debuttano come duo nel 1965, affermandosi fin da subito come protagonisti "minori" degli anni della british invasion. Dopo pochi anni Paul Ryan si defila, preferendo lavorare come songwriter e produttore per il fratello Barry, che inizia così una carriera solista che comunque non lo porterà poi tanto lontano: parte in quarta con "Eloise", ma l'incapacità di staccarsi completamente dalle radici beat e da un pop orchestrale che anno dopo anno perde gradualmente la sua presa sul pubblico lo fa scivolare sempre più nelle retrovie, fino ad un abbandono graduale e silenzioso del music-biz.
Con i singoli di inizio carriera si va sul semplice ma anche sul sicuro, un po' d sbarazzino pop-beat easy listening più che godibile di tanto in tanto; trombe, voci squillanti, melodie ben proposte e confezionate; roba che se la fai ascoltare al primo che passa per strada la sua reazione sarà con tutta probabilità qualcosa come "Grandi i Beatles!". "Baby Don't Cry" e "Heartbreaker" ma anche "Don't Bring Me Your Heartaches", le orchestratissime "Missy Missy" e "Claire"; le influenze country-americaneggianti di "Can't Let You Go" e il sitar di "Pictures Of Today", dimostrano anche una buona adattabilità nel seguire le varie mode del momento. Insomma, ci sono un bel po' di episodi semplici e piacevoli, la dimensione di Paul e Barry Ryan era quella, con quello stile e quel registro si esprimevano alla perfezione, andando praticamente a colpo sicuro; quando si prova ad alzare un po' il tiro arrivano gioie e dolori. La "Eloise" originale ha indubbiamente un fascino barocco, quasi da poema epico-cavalleresco, che non lascia indifferenti, il problema è che sembra scritta appositamente per una voce teatrale e stentorea come quella di Dave Vanian, il pur bravo Barry non regge il confronto e smorza leggermente l'intesità del pezzo; "Kitsch" invece è perfetta già così com'è, un anthem proto-glam sontuoso e carismatico che non ha avuto la risonanza che avrebbe meritato forse perchè pubblicato nel 1970, un anno in cui tutta quella pompa magna orchestrale già cominciava ad suonare datata e il glam-rock propriamente detto aveva già interpreti più freschi e "calati nella parte".
Tuttavia, questi fratelli Ryan versione 2.0 non sempre si rivelano così efficaci, anzi, potrei affermare con relativa sicurezza che quei due singoloni siano stati semplici fuochi di paglia, dato che la non memorabile ballad "I'm Sorry Susan" suona come una normalissima canzone dei tutt'altro che ispirati Bee Gees di inizio anni '70; "The Hunt", "Madrigal" e "I Love How You Love Me", nonostante scelte accattivanti come l'utilizzo del clavicembalo e delle cornamuse, risultano fortemente penalizzate da un songwriting poco consistente e ancora troppo ancorato ai vecchi stilemi per poter evolversi con piena resa e credibilità. Nonostante questi limiti, sono comunque contento di aver raccolto questa ennesima preziosa segnalazione, è stata un'esperienza piacevole e anche istruttiva; si tratta pur sempre di storia, sicuramente minore ma interessante e degna di essere ricordata e approfondita.
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