Un altro dischetto uscito quest'anno per l'etichetta trevigiana Boring Machines e che come la totalità degli episodi discografici della label ha contenuti che sono frutto di sperimentazioni in campo musicale e concettuale.

L'artista in questione, questa volta è Paul Beauchamp, che è semplicemente un omonimo del teologo gesuita francese e che nato e cresciuto nel North Carolina, USA, vive a Torino da diversi anni.

Già attivo nel tempo con diversi moniker e coinvolto in progetti come Blind Cave Salamander, Almagest!, Space Aliens From Outer Space, ha rilasciato di recente un disco con Paolo Spaccamonti e lo scorso marzo il suo secondo LP intitolato 'Grey Mornings'.

Va detto che anche senza essere un nome particolarmente noto negli ambienti musicali mainstream, il suo precedente LP, 'Pondfire', aveva ottenuto comunque dei buoni riscontri da parte della critica e questo meritatamente dato che se parliamo di field recordings, ambient e elettronica minimale e se siete interessati a questo tipo di sonorità, sarebbe oggettivamente una infamia perdervi i suoi lavori e specialmente questo suo ultimo disco.

Registrato con la collaborazione di Julia Kent (!) il disco è una proposizione estatica e fuliginnosa, rarefatta come le cose quando le vedi attraverso una fitta coltre di nebbia di paesaggi sonori nei quali l'artista compie una specie di parallelismo tra i posti in cui è nato e cresciuto e l'environment piemontese e della città di Torino dove si è oramai insediato in pianta stabile.

Caratteristico e da specificare l'utilizzo di uno strumento molto particolare, il dulcimer degli appalachi, uno strumento a quattro corde tipico di quelle regioni e le cui origini si fanno derivare dagli insediamenti degli immigrati scozzesi in quelle regioni all'inizio del diciannovesimo secolo (questo sebbene nella pratica lo strumento fosse completamente 'nuovo', non vi sono infatti riscontri su un suo utilizzo precedente in Scozia oppure in Irlanda).

Suggestivo come le sessioni ambient di determinate colonne sonore di genere fantascientifico, guarda idealmente a un certo Jean-Michel Jarre ma ovviamente consapevole di disporre di una dimensione più ristretta a quella del gigante compositore francese, stringe i propri orizzonti e guarda a un determinato suo immaginario realizzando in definitiva un bel disco che può piacere e anche molto se queste session droniche sono di vostro generale gradimento.

Carico i commenti...  con calma