Gli anni '70 sono conclusi, e con loro terminato il tempo delle contestazioni, della paranoia del post-Watergate (di coppoliana memoria), del Vietnam e dei traumi che sono seguiti al lunghissimo e devastante conflitto, perfettamente immortalati per sempre nel definitivo capolavoro che è Il Cacciatore e da quello straziante inno americano che chiudeva l'epocale film di Cimino.

Nella mia personale visione delle cose, nessuno ha rappresentato esteticamente e cinematograficamente gli anni '80 americani come De Palma, Friedkin, Mann e Paul Schrader. Certo, il più pignolo può obiettare che più che altro i suddetti rappresentassero l'America californiana; ma d'altra parte, Los Angeles, Hollywood, la California in generale, the land of milk and honey, sono sempre stati al centro dell'immaginario cinematografico americano più che l'America profonda e rurale, al centro delle produzioni più piccole indipendenti.

American Gigolo, insieme a Omicidio a Luci Rosse, Vivere e Morire a L.A. piuttosto che Manhunter, è uno di quei film che gli anni '80 li hanno proprio costruiti a livello iconico e di mitologia visiva e concettuale.

Che poi immaginario e realtà non siano la stessa cosa è un altro discorso ma chissenefrega.

Schrader, così come gli altri citati, ha da sempre, tuttavia, affondato le proprie radici intellettuali in diverse influenze culturali europee, che hanno fatto di lui uno dei più grandi autori della sua generazione, prima da straordinario sceneggiatore, poi (anche) come regista. Taxi driver, Yakuza (capolavoro di Pollack), Complesso di Colpa (tra le migliori rivisitazioni meta-linguistiche hitchcokiane di De Palma) hanno aperto la strada alla creazione di un film come American Gigolo. Così come Dreyer, Bertolucci, Camus, Dostoevskij, Bresson - artisti che trascendono assolutamente i propri terreni d'appartenenza - hanno posto le basi al lavoro di Schrader.

American Gigolo, seppur visto oggi sia così legato, appunto, ad una estetica profondamente figlia del clima di un determinato periodo storico, anche ora, a distanza di quasi quarant'anni, non ha però perso niente del suo superbo fascino e della sua eleganza stilistica. Il film, che uscì un anno prima dall'inizio ufficiale dell'era Reagan, mette in mostra i lati oscuri dell'America metropolitana, fatta di perversioni nascoste, meschinità, omicidi e macchinazioni. In un susseguirsi di scene memorabili (l'inizio su Call Me, il piano sequenza con Gere che si allena, la scena erotica tra i due protagonisti, l'entrata di Julian nel locale gay), movimenti di macchina di classe, riprese notturne d'antologia.

Fino al finale, che cita esplicitamente Bresson (ai limiti del plagio, ma Schrader stesso non ha mai fatto mistero di aver liberamente "scopiazzato" Pickpocket, anche mentre scriveva alcune scene di Taxi Driver in cui De Niro camminava solitario per le strade newyorkesi). Finale che citerà nuovamente anche ne Lo Spacciatore.

Gere, che aveva alle spalle aveva un solo grande film girato (I Giorni del Cielo), divenne più che una star, una vera icona, al di là delle capacità recitative.

A suo modo, American Gigolo è un classico del cinema, da amare senza remore. Prima che, qualche anno dopo, Schader realizzasse quello che considero uno dei miei film preferiti, ovvero Mishima: A Life in Four Chapters. Ma questa è un'altra storia.

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