Quale adolescente, ma, forse, anche post-adolescente, non ha mai sognato di diventare, almeno per un dì, attore pornografico? Suvvia, al bando l'ipocrisia. Credo che pochi in cuor loro direbbero di no, ed, in ogni caso, nessuno rifiuterebbe questa opportunità se, come partner, potesse avere la grande Julianne Moore.
Tutto ciò basterebbe a far terminare questa recensione con un applauso ai produttori, al regista ed all'ufficio casting di "Boogie Nights" per aver scelto la tizianesca attrice come protagonista femminile di questo lungometraggio. Ed ovviamente con un cinque e lode.
Ma siamo fra persone serie, in un sito serio, ed un recensore tendenzialmente serio come me non può esimersi da andare un po' più nel profondo, in senso ovviamente metaforico.
Dunque, ricominciando da capo, questo "Boogie Nights" (1997), opera dell'allora promettente regista Paul Thomas Anderson, è un ottimo film che vorrebbe descrivere, in maniera disincantata, le derive della società statunitense contemporanea - quasi come avanguardia di tutto l'occidente - ed il mercimonio, i drammi, le tristezze e le carenze esistenziali che stanno dietro il mondo dei "sogni", quale appunto, in un'ottica maschilista (ma anche femminista: prendi Vanessa del Rio) appare quello del ricco cinema pornografico, indotto compreso, fra gli anni '70 e gli anni '80 del secolo appena decorso.
Un film che in sostanza denuda, in senso fisico e traslato, le apparenze del cinema hardcore, svelando come i commerci di carne, uomini, droghe assortite corrompano ulteriormente una società già in via di dissoluzione.
Il tutto, sia detto, in maniera particolarmente efficace sotto il profilo narrativo, illustrandoci la storia di un giovane superdotato (l'ottimo Mark Wahlberg, ispirato liberamente a John Holmes) che, da dilettante, diviene autentica star del genere sul finire degli anni '70, soccombendo a vizi e droghe nel mentre che il "dorato" mondo che fu viene travolto da nuovi gusti e dalla diffusione delle VHS, che pian piano riducono quel cinema - forse autentico, chissà - a mera riproduzione di atti sessuali ad uso pubblico.
La storia principale è condita di aneddoti ora divertenti, ora drammatici, che descrivono la varia costellazione di addetti al mondo del cinema a luci rosse, con toni ora divertiti, ora cupi, mai moralistici ma strettamente descrittivi, che elevano il valore di questo film sopra la media.
Il valore aggiunto dell'opera va rinvenuto, a mio avviso, in una felice scelta di casting che - ironie a parte - vede una ispirata Julianne Moore accanto alla giovane, ed attualmente desaparecida, Heather Graham nei panni discinti di due attrici pornografiche in vario declino, il già menzionato Wahlberg nei panni del protagonista, e tre attore d'eccezione nel ruolo di comprimari di lusso, quali il grande Burt Reinolds - nel ruolo del produttore, regista e talent scout privo di scrupoli - William H. Macy, nella splendida parte di un cameram frustrato per il fatto di amare una donna che va con tutti (terribile ed angosciante situazione, in effetti), nonchè John C. Reilly, nella parte di un attore pornografico per certi aspetti affine al noto Ron Jeremy.
Notevoli anche le comparsate di nomi di spicco del cinema a stelle e strisce degli ultimi anni, come Don Cheadle, Alfred Molina e Philip S. Hoffmann, attore feticcio del regista, come si sarebbe visto nel successivo "Magnolia".
Dando una valutazione di sintesi su questo film, rivisto ad anni dalla sua uscita, va forse osservato come, nel descrivere il mondo del cinema a luci rosse come filtro per decrittare il contesto economico sociale di un Paese, il regista finisca per provare troppo: non credo, cioè, che un simile ambiente professionale fornisca la chiave per conoscere meglio il mondo; esso, forse, ci dà solo degli elementi per comprendere la psicologia, non troppo lineare e pacificata, di chi ci lavora: sul punto il film suggerisce alcune riflessioni, sia in ordine alle circostanze che spingono un soggetto a prendere parte a certi film (diverse dalle boutade in apertura della recensione) che in ordine alla frustrazione dei rapporti affettivi fra attori, tecnici, in continuo contatto con la mercificazione della carne: splendida, al riguardo, la scena in cui la Moore consente a Wahlberg di "abbandonarsi" a lei durante le riprese, quasi a concederle l'amore, più che il sesso.
Un film che parzialmente fallisce, dunque, nel momento in cui ci vuole dare il ritratto di un'epoca, ma che colpisce quando ci parla delle storie delle singole persone, con vette ora drammatiche, ora poetiche, che, al di là dei temi scabrosi trattati, giustificano un ottimo voto ed una attenta visione.
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